È ciò che si sono chiesti in un articolo pubblicato tre mesi fa alcuni esperti della Banca Mondiale, notando che con l’espressione “Mondo in via di sviluppo” ci si riferisce in modo troppo generico a un gruppo di ben 135 Paesi classificati come Stati a basso e medio reddito, dove vive l’84% della popolazione mondiale. Nella riflessione che hanno proposto, lo stesso utilizzo del termine “sviluppo” viene sottoposto a una critica serrata, perché nelle analisi sociali ed economiche si devono rigettare classificazioni viziate da giudizi paternalistici e comunque appare limitante riferirsi allo sviluppo come a un processo lineare.
Come definire lo “sviluppo” di un Paese?
La riflessione sullo sviluppo socioeconomico, sul suo significato e sul suo andamento nelle varie parti del mondo fa parte di ogni corso di Geografia. Sul concetto di sviluppo e di crescita si accendono dibattiti da decenni, da quando venne messo in discussione il modello unico della crescita lineare indefinita imposto nell’ambito delle economie di mercato occidentali. Oggi tutti i testi più avvertiti distinguono la crescita economica, espressa generalmente con il dato del PIL, da una più complessa valutazione dello sviluppo che considera anche il benessere della popolazione, le opportunità che le sono offerte in termini di servizi e di esperienze di vita significative e gratificanti. L’ISU (Indice di Sviluppo Umano) è il dato sintetico riconosciuto internazionalmente che offre un punto di vista apprezzabile sul grado di sviluppo socioeconomico di tutti i Paesi che fanno parte dell’ONU.
Nuovi criteri
Attualmente le istituzioni internazionali non forniscono più aggregazioni per Paesi “in via di sviluppo”. Se osserviamo i dati statistici più recenti sullo sviluppo presentati dall’UNDP e dalla Banca Mondiale, notiamo che l’insieme dei Paesi del mondo viene descritto con una diversa polarizzazione in categorie rispetto agli inizi del nostro secolo, quando si potevano distinguere, nell’ordine, Paesi industriali ad alto sviluppo, Paesi in via di sviluppo e Paesi meno avanzati.
La situazione odierna è più fluida e articolata. In alcuni dati riguardanti la sanità (per esempio la mortalità infantile) e l’educazione (per esempio il grado di alfabetizzazione) molti Paesi un tempo considerati poco sviluppati hanno raggiunto standard simili ai Paesi ad alto reddito. Questi risultati incoraggianti fanno intravedere ulteriori miglioramenti futuri: i Paesi che investono sui giovani e sul loro potenziale avranno la possibilità di giovarsi di una nuova generazione di abitanti più consapevoli e meno esposti alle malattie. Inoltre il miglioramento delle condizioni sanitarie e dell’alfabetizzazione è la dimostrazione evidente che è migliorata la governance in Paesi che fino a pochi anni fa sembravano bloccati in una spirale negativa.
Anche l’andamento degli indicatori demografici mostra tendenze sorprendenti, con Paesi che hanno concluso o stanno terminando il picco della natalità, come la Cina.
Che cosa si può fare?
L’espressione “Paesi del Sud del mondo“, che spesso viene usata come alternativa a “Paesi in via di sviluppo”, ha in sé qualche elemento contraddittorio. Come spiegare infatti che nell’emisfero australe esistono Paesi altamente sviluppati come la Nuova Zelanda o altre economie solide come il Cile e l’Uruguay?
Gli esperti della Banca mondiale suggeriscono la ripartizione dei Paesi del Mondo in almeno quattro gruppi:
- Basso sviluppo, con redditi uguali o inferiori a 1135 $ pro capite nell’anno 2022
- Sviluppo medio-basso, con redditi tra i 1135 e 4465 $ pro capite nell’anno 2022
- Sviluppo medio-alto, con redditi tra i 4466 e i 13.845 $ pro capite nell’anno 2022
- Sviluppo alto, con redditi superiori ai 13.846 $ pro capite nell’anno 2022
Se è necessaria l’aggregazione in due soli gruppi, si può ricorrere a definizioni come “Paesi a basso e medio reddito” anziché “Paesi in via di sviluppo” e compiere verifiche sulla classifica dei Paesi in base al reddito.
Fare Geo
- Sul portale della Banca Mondiale data.worldbank.org raccogliete le informazioni riguardanti il tasso di mortalità infantile (infant mortality rate) a partire del 1960 fino al 2020 per i seguenti Paesi: Italia, Turchia, Brasile, Cina, Kenya. Quali cambiamenti notate? In quali Paesi si registrano i maggiori cambiamenti positivi?
- Sul portale della Banca Mondiale data.worldbank.org raccogliete le informazioni riguardanti la comprensione di un testo scritto (share of children at the end of primary age below minimum reading proficiency) per i seguenti Paesi: Italia, Francia, India, Brasile, Cina, Sudafrica. Quali differenze notate? Provate ora a raccogliere per gli stessi Paesi i dati riguardanti la spesa per l’istruzione come percentuale sul reddito nazionale. Che cosa notate? Discutetene in classe.