Il lapislazzuli, con il suo colore blu intenso, è una delle pietre più affascinanti e apprezzate fin dall’antichità. La sua storia millenaria si intreccia con quella delle più grandi civiltà del passato, dalla Mesopotamia all’antico Egitto e la Persia. Questa pietra, proveniente principalmente dalle montagne dell’Afghanistan, ha sempre avuto un grande valore commerciale: seguiamo le rotte lungo le quali ha attraversato terre e confini per diventare un elemento fondamentale nella creazione di gioielli, affreschi e dipinti.
Le regioni settentrionali dell’Afghanistan sono contornate da brulle montagne che superano i 7000 metri d’altezza, bloccate in inverno dal gelo e da abbondanti nevicate. Anticamente l’area era denominata genericamente monte Imeon, costituito da un sistema montuoso che comprendeva diverse catene secondarie dell’Asia centrale, dai monti Zagros dell’Iran fino agli Altaj a nordest, passando per l’ombelico del continente, il Pamir. Queste aree nel cuore dell’Asia, che per ragioni geopolitiche oggi sono difficilmente raggiungibili da visitatori stranieri, nascondono un tesoro, il lapislazzuli, il nome comune del minerale lazurite (dal persiano lazhward, “blu”).
Questa pietra semipreziosa fu apprezzata dai pittori come pigmento ed è ancora usata dagli orafi per realizzare gioielli con gemme blu. Dall’Ottocento i pittori non usano più il lapislazzuli e l’hanno sostituito con pigmenti sintetici che ne imitano perfettamente l’intensità. In precedenza, però, gli artisti più esigenti e sensibili si sono serviti della polvere minerale blu che donava agli affreschi e ai dipinti a olio una profondità cromatica stupefacente. I cieli di Giotto e di Michelangelo, così come i manti delle madonne medievali e rinascimentali, sono tutti realizzati con lapislazzuli, chiamato anche blu oltremare. Dato il costo elevatissimo della materia prima, i committenti fissavano sui contratti con i pittori la quantità del prezioso pigmento da utilizzare nelle opere.
Le miniere di lapislazzuli nell’Hindu Kush
La remota provincia del Badakhshan nell’Hindu Kush è sede della miniera di Sar-i-Sang, a 5000 metri di quota, la principale fonte di lapislazzuli dell’antichità, attiva ancora oggi dopo 6000 anni. È controllata dai Taliban ed è fonte di preziose entrate per uno Stato che sopravvive stentatamente, in un clima di soffocante repressione interna e di isolamento internazionale.
Lo scavo del lapislazzuli avviene in galleria con metodologie abbastanza rudimentali; i blocchi di pietra blu con venature bianche e giallastre sono sgrezzati e avviati all’esportazione, in un processo non molto diverso da quello impiegato già nei tempi più remoti.
Le vie commerciali antiche
Le tavolette d’argilla ritrovate negli archivi delle città sumere offrono le prime testimonianze scritte sul commercio di lapislazzuli. Esse contengono dati che servono a ricostruire l’itinerario della merce dalla foce del fiume Indo nell’odierno Pakistan fino al golfo Persico, mettendo in comunicazione le civiltà fluviali che videro la nascita delle prime città 4000 anni prima di Cristo.
La via mesopotamica
I rendiconti dei mercanti sumeri del III millennio a.C. indicano nelle località di Dilmun, Makan e Meluhha le tappe del trasporto via nave che aveva inizio allo sbocco in mare delle acque del Tigri e dell’Eufrate (Shatt al-Arab). Dilmun è stata identificata con l’isola di Bahrein, dove sono state rinvenute anche delle tombe sumere; Makan era l’estremità settentrionale dell’Oman, che si allunga nello stretto di Hormuz; Meluhha era situata nel delta dell’Indo.
I traffici tra la Mesopotamia e il delta dell’Indo proseguirono per secoli, con alterne vicende e non sempre in modo pacifico: il re Sargon di Akkad affermava verso il 2130 a.C. di avere catturato imbarcazioni provenienti da Dilmun, Makan e Meluhha per indicare la forza del proprio dominio imperiale. Testimonianze del 1800 a.C. specificano invece che i mercanti sumeri arrivavano solo a Dilmun per compiere scambi di merci e non proseguivano oltre. Essi vendevano lana ricavata dalle proprie greggi e acquistavano il rame e le pietre dure di Makan, e potevano ottenere avorio, perle, pietre preziose provenienti dall’India e dall’Afghanistan.
Questi traffici marittimi si interruppero verso il 1600 a.C. con l’arrivo degli Arii, che spazzarono via le civiltà di Harappa e Mohenjo-Daro nella valle dell’Indo, e modificarono per secoli il quadro politico dell’area, fino a che il Gran Re persiano Dario I non conquistò la valle dell’Indo.
La via egiziana
Ma i lapislazzuli, in tempi remoti, seguivano anche altre rotte: con una lunga navigazione i commercianti egiziani e poi fenici raggiungevano l’India attraversando il Mar Rosso e costeggiando lo Yemen e l’Oman, fino a raggiungere i mercati portuali dove trovavano la pietra azzurra tanto amata dai faraoni.
La via egiziana e la via mesopotamica restarono attive nei secoli e ad esse si affiancarono i commerci via terra, i percorsi attraversati dalle carovane nell’Asia centrale, quelli descritti da Marco Polo, che nel Milione tornò a parlare delle miniere di lapislazzuli.
Con l’età moderna altre miniere in Sudamerica e in Asia si affiancarono a quelle afgane, evitando un rapido esaurimento della pietra blu.
Fare Geo
- Su una carta traccia le rotte commerciali del lapislazzuli. Individua le direttrici via mare e quelle terrestri. Quale porzione del planisfero ti serve? Dove si trovano le località citate nell’articolo? Individuale e fai una ricerca per aggiungere dettagli geografici alla tua carta.
- Il lapislazzuli è stato a lungo utilizzato come decorazione di edifici e pigmento nelle opere d’arte. Quali altri materiali venivano usati in passato per ricavare i colori? Fai una ricerca e schematizza i risultati in una presentazione.
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