Speciale ambiente - Benvenuti nell'Antropocene

Speciale ambiente - Benvenuti nell'Antropocene

La specie umana, diffusa su buona parte delle terre emerse e capace di utilizzare le risorse del pianeta per i propri scopi di sopravvivenza, ha modificato rapidamente l’aspetto della superficie terrestre. La sua azione può essere paragonata agli agenti che hanno trasformato la Terra in tempi geologici. Ecco perché buona parte della comunità scientifica accetta l’utilizzo del termine “Antropocene” per indicare il periodo di tempo caratterizzato da un’accelerazione di trasformazioni del sistema Terra riconducibili alle attività antropiche.

Una parola nuova per una nuova epoca geologica

Il termine cominciò a diffondersi nell’anno 2000, quando il climatologo danese Paul J. Crutzen, intervenendo alla conferenza dell’Intergovernmental Geosphere Biosphere Program a Cuernavaca, in Messico, mise in discussione il termine Olocene per definire l’attuale epoca geologica e propose di utilizzare invece il termine Antropocene. Altri scienziati avevano maturato in precedenza la stessa idea, come il limnologo statunitense Eugene F. Stoermer che con Crutzen pubblicò il saggio Welcome to the Anthropocene.

L’impatto delle attività dell’uomo sulla superficie terrestre è effettivamente misurabile e può essere osservato principalmente nell’eccessivo sfruttamento del suolo e delle risorse, negli spostamenti ed estinzioni di molte forme di vita e nell’emissione e rilascio di sostanze chimiche e radionuclidi che permangono nell’ambiente.

La discussione sull’inizio dell’Antropocene

Nel 2019 è stata formulata da molti scienziati la proposta di inserimento dell’Antropocene nella scala cronostratigrafica standard con il rango di epoca geologica del periodo quaternario, successiva all’Olocene. Il limite temporale fra le due epoche è ancora in discussione fra i geologi che lo stanno cercando nei sedimenti geologici dove permangono marcatori (golden spike) di origine antropica.

Una prima ipotesi (di Crutzen e Stoermer) per fissare la data iniziale dell’Antropocene è quella di far coincidere l’epoca dominata dal fattore umano con l’inizio della Rivoluzione industriale, sulla base dell’aumento esponenziale di anidride carbonica misurabile grazie alla conservazione del composto negli strati di ghiaccio delle zone polari.

Più di recente i sostenitori dell’Antropocene come epoca, ne indicano l’inizio negli anni Cinquanta del ventesimo secolo: gli strati geologici formatisi in quegli anni, infatti, contengono tracce persistenti dell’attività umana sotto forma di frammenti plastici e radionuclidi (effetto di esperimenti nucleari).

GIS e Antropocene

Una storymap di ESRI ci aiuta a leggere le principali trasformazioni del pianeta causate dall’uomo. In questo “Atlante dell’Antropocene” vengono riportati centinaia di migliaia di dati georeferenziati (raccolti grazie al Geographic Information System, GIS). La mappa satellitare che rappresenta la situazione demografica mondiale si serve di un layer a colori graduati per mettere a fuoco la densità di popolazione in termini di numero di abitanti per chilometro quadro e ci permette di individuare visivamente le aree più densamente popolate del pianeta.

Mantenendo lo zoom sul minimo ingrandimento, i picchi di densità demografica sono visibili nella Cina orientale e nell’area indiana che, messe insieme, sono abitate da più di 3 miliardi di persone, seguite da Giappone, Indonesia e Filippine, aree insulari dove le popolazioni massimizzano lo spazio disponibile. In Africa spicca il corso del Nilo, in particolare nell’area del delta, dove si concentra la popolazione sfruttando la presenza di acqua dolce. In Europa sono visibili l’area di sviluppo industriale nordoccidentale che va dalla Pianura padana all’Inghilterra settentrionale e che viene denominata banana blu, insieme all’area costiera del Mediterraneo occidentale (denominata golden banana). Nell’America del Nord, anche al minimo ingrandimento, sono già visibili la megalopoli atlantica, la megalopoli pacifica e quella dei grandi laghi.

Dati di densità demografica: le megalopoli

La popolazione mondiale ha superato i 7 miliardi di persone e ci si aspetta di superare i 9 miliardi nel 2050. Cresce la tendenza a distribuirsi in città sempre più affollate che si espandono con processi inarrestabili. Se ci concentriamo sui dati dell’espansione delle città più popolate del mondo, ci impressiona l’entità e la velocità della crescita delle aree urbane accompagnate dal dato che l’insieme delle megalopoli mondiali contribuiscono al 15% del prodotto interno lordo globale e hanno un’impronta di carbonio notevole contribuendo al 70% delle emissioni mondiali. Questo si traduce nell’aumento della temperatura della Terra e di acidificazione degli oceani.

Fra le megalopoli primeggiano le attivissime città asiatiche come l’area metropolitana Tokyo-Yokohama che supera i 14 milioni di abitanti o le municipalità della Cina (che si estendono su un’area ampia) come Chongqing con 33 milioni e Shangai con 27 milioni. In Africa è impressionante la crescita urbana della città di Lagos con una popolazione stimata di 23 milioni di abitanti.

I dati danno la misura dell’impatto dell’uomo non tanto per la crescita esponenziale degli abitanti delle aree urbane quanto per il cambiamento nello stile di vita che prevede consumi elevati di combustibili fossili e un rapido sfruttamento del suolo e dell’acqua. A una crescita esponenziale della popolazione corrisponde l’aumento della domanda di cibo: le terre coltivate coprono il 40% della superficie terrestre (dato dell’Institute on the Environment dell’Università del Minnesota), con un picco preoccupante nel consumo di acqua dolce per usi agricoli e per l’allevamento.

A fronte poi dell’espansione urbana, secondo una ricerca del World Resources Institute, si registra una perdita globale crescente di aree forestali. Il 30% della copertura forestale globale è stata cancellata, mentre il 20% è degradata. Altri ecosistemi forestali soffrono la frammentazione e solamente il 15% delle foreste si possono ritenere intatte. 

L’umanità e l’ambiente

Ma quello che induce alcuni studiosi a paragonare l’azione dell’uomo a una vera e propria catastrofe naturale, al pari di un evento naturale contingente come un’eruzione vulcanica o la caduta di un meteorite, è l’impatto sull’estinzione delle altre specie viventi. La definitiva scomparsa di una specie avviene a una velocità fino a 1000 volte superiore a quella che avevano mediamente le estinzioni prima della comparsa dell’uomo sulla Terra.

specie in estinzione Red List IUCN
Percentuale di specie a rischio secondo la Red List delle specie minacciate dell’IUCN (International Union for Conservation of Nature)

La geografia ci aiuta a ragionare in termini di connessioni e a individuare le relazioni fra l’azione dell’uomo e le conseguenze sul sistema Terra. Un’azione che ha un piccolo effetto locale visibile produce conseguenze incontrollabili se cambiamo punto di vista e osserviamo il sistema a scala globale. Il fatto che la specie umana sia parte del sistema implica che le conseguenze ricadranno prima o poi su di noi.

La perdita di biodiversità è causata dalla distruzione degli habitat naturali, dall’utilizzo della monocoltura e dei prodotti chimici che alterano l’equilibrio del suolo, dalla pesca eccessiva e dallo spostamento continuo di organismi viventi in aree lontane dal loro ambiente originario. Conosciamo molti casi locali che possono confermare il fenomeno, ma è interessante poter visualizzare una sintesi di dati derivanti da fonti statistiche a scala globale grazie alle potenzialità dei sistemi informativi geografici.

Come ultimo dato, leggiamo la percentuale di aree protette che, considerando aree terrestri e marine, corrisponde al 10% della superficie terrestre. Emerge qui l’aspetto dell’uomo consapevole, che si rende conto che la sua azione porta nel tempo a danneggiare la sua stessa specie e corre ai ripari cercando di proteggere le aree più fragili.

Un Antropocene positivo

Ecco perché il termine Antropocene è complesso e anche se nasce con un’accezione negativa può nascondere un’altra chiave di lettura. Il significato negativo è la constatazione che la velocità con cui l’uomo trasforma il sistema Terra non coincide con la capacità di adattamento alle condizioni che egli stesso genera, simulando quello che succede quando alcune dinamiche endogene provocano catastrofi.

Alcuni danno una lettura positiva del termine pensando alla capacità di controllo che l’uomo ha assunto sull’ambiente. L’umanità è anche in grado di prendere coscienza della sua azione e dell’impatto che ha sulle generazioni future e quindi ha il potere di evitare i danni. Può farlo cominciando ad agire sul piano locale e diffondendo piano piano buone pratiche per ottenere una retroazione locale. Può farlo anche su scala globale: è quello che avviene quando si prendono decisioni mirate a uno sviluppo globale sostenibile, come accordi sul clima, sulla conservazione della biodiversità, sul consumo dei combustibili fossili e sull’innovazione delle fonti energetiche.

pannelli solari energia rinnovabile uomo
Pannelli solari ricoprono i pendii delle colline: un esempio di cambiamento paesaggistico determinato dalla attività dell’uomo nella prospettiva di uno sviluppo sostenibile.

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