di Piero Bianucci www.pierobianucci.it
La quantità dell’ozono nella stratosfera sopra l’Antartide sta ritornando lentamente alla normalità, dopo l’allarme lanciato negli anni Ottanta del secolo scorso. L’ozono funziona da scudo contro le radiazioni ultraviolette del Sole, radiazioni che possono causare mutazioni genetiche negli organismi viventi e in particolare, nell’uomo, tumori maligni della pelle (melanoma).
I dati dell’Istituto statunitense per lo studio degli oceani e dell’atmosfera (NOAA) indicano che nel 2012 il “buco” nell’ozono antartico (cioè la sua rarefazione su una vasta regione sovrastante il Polo Sud) ha toccato il secondo livello minimo degli ultimi vent’anni, cioè da quando, con il Protocollo di Montreal, sono stati presi provvedimenti per eliminare i clorofluorocarburi, gas in passato usati negli impianti di refrigerazione (frigoriferi) e nelle bombolette spray. Ironia della sorte, proprio nel 2012 è morto, all’età di 84 anni, Frank Sherwood Rowland, lo scienziato che scoprì il meccanismo di distruzione dell’ozono da parte dei clorofluorocarburi e che per questo fu premiato nel 1995 con il Nobel per la Chimica, assegnato a studiosi di questioni ambientali.
Le ricerche di Rowland e le mobilitazioni internazionali
Grazie a un’insolita mobilitazione politica internazionale, quello del buco nell’ozono rimane per ora l’unico problema ecologico globale che sia stato risolto felicemente. Era il 1975 quando Rowland pubblicò un articolo scientifico sorprendente: a causare la perdita dell’ozono nella stratosfera – scriveva il chimico americano – sono i gas contenuti nelle bombolette spray e negli scambiatori di calore dei frigoriferi, i clorofluorocarburi. Scoperta grazie ai satelliti artificiali, la perdita di ozono era più evidente sull’Antartide, ma in misura minore riguardava tutta l’atmosfera terrestre.
L’azione dei clorofluorocarburi
I clorofluorocarburi, salendo nella stratosfera, con le loro reazioni chimiche distruggevano l’ozono, una forma di ossigeno molecolare nella quale sono legati tra loro tre atomi di ossigeno anziché due, come accade nelle molecole più comuni. L’ossigeno triatomico ha appunto la capacità di assorbire la radiazione ultravioletta.
Rowland aveva messo in luce un meccanismo sconvolgente anche per il grande pubblico ignaro di chimica: oggetti in apparenza innocenti come le bombolette spray e il frigorifero, liberando gas non esistenti in natura ma creati in laboratorio, si rivelavano pericolosi per l’intero pianeta, con conseguenze dirette e gravi per l’umanità intera. Questi presupposti per una comunicazione molto efficace furono rafforzati dall’espressione “buco nell’ozono”. In realtà non proprio di un buco si trattava, ma di una rarefazione di questo gas, peraltro presente in quantità molto piccole: tutto l’ozono, portato alla pressione atmosferica del mare, equivale a uno strato di gas spesso appena 3 millimetri. Anche questo era emblematico: un fragilissimo equilibrio naturale veniva messo in crisi dallo sprovveduto intervento dell’uomo.
Il buco nell’ozono, le contestazioni e lo scetticismo
Fu così che negli anni Ottanta il “buco nell’ozono” divenne un vessillo per le battaglie degli ambientalisti e segnò la crescita di una “coscienza ecologica” su scala mondiale. Non fu però un percorso in discesa. La tesi di Rowland era contestata da molti suoi colleghi e a lungo rimase controversa. La stessa sorte toccò a Paul Crutzen e a Mario Molina, che svilupparono gli studi di Rowland e divisero con lui il premio Nobel. Le multinazionali produttrici di clorofluorocarburi davano, com’è ovvio, manforte agli scettici, e il loro gioco era facile perché, nonostante il fortunato slogan “buco nell’ozono”, il percorso logico che va dallo spray alla stratosfera e torna a terra causando melanomi non è di immediata comprensione.
Il protocollo di Montreal
Tuttavia poco per volta la scoperta di Rowland, suffragata dagli studi di Crutzen e Molina, riuscì ad affermarsi a livello popolare, e i politici furono costretti a occuparsene. Il risultato fu un Protocollo per la messa al bando dei clorofluorocarburi firmato a Montreal, in Canada, il 15 settembre 1987, poi più volte aggiornato fino al 1999. Intelligente fu la scelta di graduare la messa al bando. Tra i maggiori produttori di clorofluorocarburi c’erano l’Unione Sovietica e alcuni paesi in via di sviluppo. Per questi furono concessi rinvii nell’applicazione del Protocollo, in modo dar loro il tempo necessario per ammortizzare gli impianti industriali e avviare la produzione di gas sostitutivi non dannosi per l’ambiente.
Una vicenda conclusa
Gli effetti benefici del bando si videro già alla fine degli anni Novanta, quando il “buco” incominciò a dare segni di restringimento. Si capì intanto che nella formazione del “buco” ha un ruolo importante anche l’attività solare, e quindi possono esserci temporanee rarefazioni che interferiscono con il processo di “ricucitura”, ma nella sostanza possiamo dire che ormai il buco nell’ozono è una storia chiusa, sigillata dal lieto fine. Un caso eccezionale. La gran parte delle altre grandi questioni ambientali sono infatti più aperte che mai.
Nato a Delaware nell’Ohio, professore di chimica prima a Chicago, poi a Princeton, infine all’Università della California a Irvine, Rowland ha avuto nella sua lunga vita la fortuna di scoprire un problema importante per la salute dell’umanità e di vederlo risolto. Ecco perché il suo nome deve dirci qualcosa.
(basato su un articolo di Piero Bianucci pubblicato da La Stampa, nel marzo del 2012)
RISPONDI:
- Perché è importante la quantità di ozono presente nella stratosfera?
- Perché, viceversa, l’ozono emesso a livello della superficie terrestre dalle attività industriali è considerato un inquinante?
- Perché, storicamente, l’intervento per proteggere l’ozono segnò una tappa fondamentale nella difesa dell’ambiente?