Ecco come prendere due piccioni con una fava: coltivare le alghe per purificare i mari e nello stesso tempo ottenere biodiesel. Le alghe microscopiche Botryococcus braunii e Scenedesmus obliquus, in grado di nutrirsi di sostanze inquinanti presenti nelle acque reflue, si moltiplicano formando una biomassa ricca di grassi, ottima per la produzione di biocarburanti (ANSA).
La sperimentazione è avvenuta nel golfo di Napoli per opera dei ricercatori del Centro Interdipartimentale di Ricerche per la gestione delle risorse idrobiologiche e per l’acquacoltura (CRIAcq) dell’Università Federico II di Napoli in collaborazione con l’azienda CO.GE.I, la quale ha anche svolto un ruolo attivo nella sperimentazione unitamente alla università britannica di Cranfield.
Le alghe fungono da filtro e, come spiega Carmela Barone responsabile del progetto, sono in grado di eliminare il 90% di azoto e fosforo, sostanze inorganiche inquinanti che rimangono nelle acque scaricate in mare dai depuratori.
Ma il vantaggio è anche quello di ottenere una biomassa, che può essere essere trasformata in biodiesel, senza togliere terreno all’agricoltura. E questo con rese superiori rispetto alle colture tradizionali, data l’elevata efficienza di conversione dell’energia solare in biomassa microalgale.
Queste alghe, lunghe solo qualche millesimo di millimetro, si sviluppano velocemente creando un tappeto verde sulla superficie del mare. Sono state coltivate utilizzando come terreno di coltura le acque reflue degli impianti di Nerano, sulla costiera amalfitana, e di Occhiomarino, a Capri (video).