Il kiwi migratore

Il kiwi migratore

di Giordano Golinelli, ACRA-CCS

«So che dovrei odiare gli umani ma non ci riesco.
Loro non si limitano soltanto a mangiare.
Loro sperimentano, creano…»
(dal film Ratatouille di Brad Bird)

Una volta quando si diceva che un prodotto era “di importazione” si usava questa caratteristica per sottolineare che si trattava di un prodotto raro, esclusivo, di qualità e appetibile. Da sempre poter avere prodotti non presenti nel proprio mercato locale è una cosa da ricchi, che solo pochi possono permettersi. Basti pensare alla storia dello zucchero, del sale, della frutta esotica o delle spezie. Negli anni Settanta del Novecento però i progressi industriali e commerciali hanno reso possibile anche per la gente comune accedere a prodotti di importazione, che hanno progressivamente conquistato spazio in diversi segmenti di mercato, tanto che oggi è diventato quasi più difficile trovare un prodotto made in Italy che uno straniero.
Anche nel cibo è successa la stessa cosa e non si tratta solo di prodotti a lunga conservazione, ma vale anche per il fresco. Prendiamo a esempio il kiwi. L’uva spina cinese è un frutto originario della Cina meridionale (dove si chiama Yang Tao). È famoso in tutto il mondo col nome neozelandese di kiwi, dato dagli stessi dopo che il frutto è diventato uno dei prodotti più diffusi della Nuova Zelanda. Eppure oggi il primo produttore mondiale di kiwi è l’Italia ed è facile trovarlo sui banchi dei nostri supermercati.
Peccato che molto spesso non troviamo esposto il kiwi nostrano ma quello neozelandese. Anche quando è di stagione il kiwi italiano. E in Nuova Zelanda troviamo il kiwi italiano. Perché? La risposta non è semplice, ma ormai tutti abbiamo capito che la distanza tra luogo di produzione e luogo di vendita non fa tanta differenza quanto altri fattori di produzione e di vendita. E questo non vale solo per il kiwi ma per tantissimi prodotti freschi ortofrutticoli, caseari, ittici, carni ecc.
In poche parole oggi è possibile fare una normale spesa e comprare prodotti che hanno percorso migliaia di chilometri. E se i prodotti sono quelli di una spesa settimanale anche decine, centinaia di migliaia sono i chilometri. Il sito Food miles permette di calcolare quanta strada hanno fatto gli alimenti che abbiamo in casa (bisogna sapere l’origine) e di verificare quanta ne fanno in media. Il risultato è strabiliante.
Provate a farlo su una spesa tipo e poi immaginate di moltiplicare il risultato per decine di migliaia di volte, centinaia di migliaia, immaginate quante persone ogni giorno riempiono carrelli di prodotti stranieri. Ecco, ora potete farvi un’idea di quanti mezzi di trasporto sono necessari per spostare alimenti in giro per il mondo: navi, aerei, treni, camion, furgoni. Le conseguenze ambientali di tutto ciò sono facilmente immaginabili: inquinamento, effetto serra e tanto altro. Ma ancora più grave è l’ignoranza sempre più diffusa sul cibo e sull’agricoltura. Il non sapersi più orientare tra le stagioni e le provenienze, non saper più riconoscere la vera tipicità dei prodotti, la qualità che li differenzia e la cultura che li esprime.
Solo così sapremmo apprezzare e celebrare come meritano anche i prodotti “di importazione”, che da sempre fanno parte della nostra tavola in occasioni speciali.


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