La COP21 e la sfida del cambiamento climatico

La COP21 e la sfida del cambiamento climatico

 

Cosa significa la sigla COP21?

COP21 è la sigla che indica la 21° Conferenza delle parti, vale a dire gli Stati firmatari della Convenzione quadro dell’ONU sui cambiamenti climatici (UNFCCC). La Convenzione è il trattato firmato a Rio de Janeiro nel 1992 (“Summit della Terra”) per la riduzione delle emissioni dei gas responsabili dell’effetto serra, i cosiddetti “gas climalteranti”, grazie al quale nel 1997 fu poi adottato il Protocollo di Kyoto. Da Rio in poi quasi ogni anno si sono svolte le Conferenze che, nonostante il nome, sono in realtà assemblee governative in cui si cerca di raggiungere accordi sui temi trattati.
Svoltasi a Parigi dal 30 novembre al 12 dicembre 2015, COP21 ha avuto come obiettivo centrale quello di mantenere l’incremento della temperatura globale sotto i 2°C, rispetto ai livelli di due secoli fa, cercando se possibile di limitarlo entro 1,5°C. Un obiettivo molto impegnativo: secondo Italy Climate Report 2016, «per fermarci a 1,5 gradi dovremmo consumare solo un terzo delle riserve di petrolio, un quarto di quelle di gas e un decimo di quelle di carbone. In modo da tagliare le emissioni serra dell’85% al 2050 e azzerarle al 2070».
La conferenza si è conclusa dopo due settimane di dibattito con la predisposizione di un accordo definito “universale”, dato che ha visto l’adesione di 197 Stati – questo anche se non tutte le disposizioni sono vincolanti e non sono previste sanzioni per i Paesi che non dovessero riuscire a raggiungere gli obiettivi prefissati.
L’accordo di Parigi cerca di superare i limiti del Protocollo di Kyoto, che era imperniato quasi esclusivamente sulla necessità di ridurre le emissioni senza considerare i costi sociali di tale azione: per esempio, il boom dei biocarburanti promosso per limitare il consumo di fonti di energia fossili è considerato però responsabile di una consistente perdita di produzione alimentare e quindi del peggioramento delle condizioni di vita di milioni di persone in tutto il mondo. Nel preambolo si dice per questo che «riconoscendo che il cambiamento climatico è una questione comune dell’umanità, i Paesi dovrebbero, quando agiscono per affrontarlo, rispettare, promuovere e considerare i loro obblighi sui diritti umani, il diritto alla salute, i diritti dei popoli indigeni, delle comunità locali, dei migranti, dei bambini, delle persone diversamente abili, di chi è in situazioni vulnerabili, e il diritto allo sviluppo, così come l’eguaglianza tra i sessi, il potenziamento delle donne e l’equità tra le generazioni». In questo modo l’accordo si collega strettamente ad alcuni degli obiettivi dell’Agenda 2030 promossa dall’ONU.

Le conseguenze della COP21

A differenza del Protocollo di Kyoto, il nuovo accordo chiede a tutti gli Stati firmatari di agire, di individuare i propri obiettivi di riduzione delle emissioni (Intended Nationally Determined Contribution, Indc) e di impegnarsi a rivederli ogni cinque anni. L’UE ha già indicato il proprio obiettivo di riduzione del 40% entro il 2030. Inoltre chiede ai Paesi più ricchi di sostenere finanziariamente i Paesi più poveri perché sviluppino fonti di energia meno inquinanti: per esempio, alcuni Paesi (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Paesi Bassi, Regno Unito, Stati Uniti e Svezia) si sono impegnati a fornire, entro il 2020, 10 miliardi di dollari, come prestiti o doni, ai Paesi dell’Unione Africana per incrementare la produzione di energia da fonti rinnovabili di 10 milioni di KW entro il 2020 e di 300 milioni entro il 2030.
L’accordo, che potrà essere firmato presso la sede delle Nazioni Unite a New York fino al 21 Aprile 2017 (la “Giornata della Terra”), è entrato in vigore già il 4 novembre 2016, quando è stata superata la soglia minima necessaria (almeno 55 Paesi responsabili di almeno il 55% delle emissioni globali di gas serra); ormai quasi tutti i Paesi sviluppati (tra cui anche l’Italia) o emergenti (Cina, India e Brasile in testa) hanno ratificato l’accordo.
In tutto il mondo numerose amministrazioni pubbliche (città, regioni ecc.), aziende, associazioni e privati cittadini hanno sottoscritto il cosiddetto “Appello di Parigi” per sostenere l’accordo e far sì che possa raggiungere i suoi obiettivi anche prima del termine proposto.
Per esempio, la Under2 Coalition si è impegnata a ridurre le proprie emissioni di almeno l’80% entro il 2050. Si tratta di un “club” che raggruppa oltre 169 amministrazioni pubbliche sparse in 33 Paesi di tutto il mondo (tra cui sei Regioni italiane: Abruzzo, Basilicata, Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Sardegna e Veneto), con una popolazione di circa un miliardo di persone.
Nel novembre 2016, infine, a Marrakech (Marocco) si è tenuta la COP22, nel corso della quale sono stati ribaditi sia l’impegno a emanare entro il 2018 il regolamento di attuazione dell’accordo di Parigi, sia quello di mettere in atto comunque, tra il 2017 e il 2020, quanto previsto dall’accordo stesso, secondo una tabella di marcia condivisa (detta Marrakech Partnership for Global Climate Action), da verificare nel corso della prossima conferenza annuale delle Nazioni Unite sul clima (COP23), che si terrà a Bonn (Germania) nel novembre 2017.

Il mondo sembra proprio deciso a darsi da fare per attenuare le conseguenze del cambiamento climatico: per fortuna, perché, come ci informano la NASA e la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), nel 2014, 2015 e 2016 si sono registrate le temperature più alte da quando si è iniziato a misurarle scientificamente (1880). Il 2016 si è chiuso con un livello medio di temperature superiore di 1,1°C rispetto al periodo pre-industriale: quindi siamo già arrivati quasi al limite più basso previsto dall’accordo di Parigi (+1,5°C di incremento).

Per saperne di più, è possibile approfondire questi argomenti collegandosi a:
unfccc.int/paris_agreement/items/9485.php
newsroom.unfccc.int/
climalteranti.it/2015/12/16/la-sostanza-dellaccordo-di-parigi/
accordodiparigi.it/index.htm
cop21.gouv.fr/en/
consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2015/09/18-counclusions-un-climate-change-conference-paris-2015/

 

di Stefano Bianchi

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