di Donata Columbro, CISV-ONG 2.0
Quando si parla di immigrazione sui giornali italiani nel 20% dei casi le notizie riguardano l’arrivo di migranti nel nostro paese. E nel 70% vengono descritti come “sbarchi illegali” di “clandestini”. Solo nel 30% si prende in considerazione l’arrivo di “profughi” che cercano “asilo” facendo domanda come “rifugiati”. I media pongono enorme attenzione sul fenomeno dipingendolo come problema, parlando di “invasione” difficile da contenere. Le parole più usate sono “onda, marea, valanga”.
Il dato più sorprendente però è un altro. Solo nel 3% dei casi si tratta il tema degli arrivi accennando agli arrivi “legali”. Insomma: gli arrivi sembrano tutti illegali.
Un problema di percezione
Solo il 10% circa di immigrati presenti illegalmente nel paese arriva via mare: ne arrivano di più attraverso le frontiere terrestri. Nonostante questo, quando il giornalismo parla di migranti in arrivo nel 95% dei casi costruisce l’informazione a partire da riferimenti (testuali e soprattutto visivi) agli sbarchi.
Criminalità e migrazione
Secondo una ricerca della Sapienza di Roma, più dei due terzi delle notizie di cronaca presentate da tg e quotidiani descrive un atto criminoso, l’attività delle forze dell’ordine o un procedimento penale. Per oltre il 70% delle volte le persone stranieri sono presenti nei telegiornali come autrici o vittime di reati, il 57,1% sui quotidiani. Ma “in alcuni paesi europei, dove l’immigrazione è iniziata prima e l’integrazione è più avanzata, la citazione della nazionalità avviene solo se è essenziale nel racconto del fatto”, spiega in un’intervista Rob Elliot, coordinatore di www.occhioaimedia.org, un’associazione ferrarese che, monitorando i giornali, segnala forme di discriminazione subite dai migranti in Italia. “Un giornale britannico non titolerebbe mai ‘Un immigrato albanese detiene una dose di droga’, ma ‘Un uomo detiene una dose di droga’”, dice Elliot.
Maschio, nero, clandestino
Inoltre, la nostra immagine dei migranti è oggi quasi esclusivamente l’immagine di maschi africani, accompagnata da titoli che li aggettivano come “clandestini” e come “disperati”, oppure la loro personalità è schiacciata sul solo dettaglio della nazionalità o della provenienza “etnica”. Su Parlare Civile, strumento pratico per giornalisti e comunicatori per trattare con linguaggio corretto temi sensibili e a rischio di discriminazione, viene spiegato che “per la legge il clandestino non esiste. La parola non è presente nel testo della legge Bossi-Fini, né nel testo unico sull’immigrazione che all’articolo 10 bis disciplina il cosiddetto “reato di clandestinità”, ma non usa mai questo termine, definendolo invece: “Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato”. E allora perché lo usano i giornalisti, modificando la nostra percezione del fenomeno? Forse è ora di smettere.
Risorse: Unità di apprendimento su media e immigrazione su Parlezvousglobal