Primavera araba, timori e speranze delle minoranze

Primavera araba, timori e speranze delle minoranze

A pochi giorni dalle elezioni presidenziali in Egitto il prossimo 23 maggio, aumentano le preoccupazioni della minoranza copta del Paese che, dopo i giorni che hanno visto cristiani e musulmani marciare fianco a fianco durante la cosiddetta “primavera araba” per la fine del regime di Hosni Mubarak, ha subito negli ultimi mesi un’escalation di aggressioni da parte dei partiti salafiti. “Mentre i gruppi e gli individui favorevoli a uno Stato civile democratico faticano a organizzarsi, i partiti religiosi islamici sfruttano a pieno regime due canali privilegiati di propaganda: le tv religiose e le moschee” avvertiva nei mesi scorsi il patriarca di Alessandria dei copti, a capo di circa 200mila cattolici di rito copto su 8 milioni di cristiani, che rivendicano di essere i diretti discendenti degli abitanti dell’Egitto faraonico e rappresentano quasi il 10% degli egiziani, la più grande fra le minoranze cristiane in Medio Oriente.

Il monito del patriarca è uno dei passaggi-chiave dell’intervista raccolta dalla giornalista Manuela Borraccino nel saggio “2011. L’anno che ha sconvolto il Medio Oriente” (Edizioni Terra Santa 2012), in uscita in questi giorni in libreria. “Negli ultimi mesi – ammoniva il porporato – hanno detto chiaramente che in uno Stato islamico non c’è spazio per i non musulmani, se non come dei ‘protetti’”. Essere dhimmi, cioè protetti sotto l’Impero ottomano significava, tra le altre cose, dover pagare una tassa di protezione, la jizya.
“La rivoluzione è stata fatta dai liberali e dai giovani – si legge nell’introduzione di Samir Khalil Samir –, che però per la loro inesperienza si trovano sorpassati dai ben più disciplinati partiti islamici, che hanno di fatto accantonato per il momento la richiesta iniziale formulata dai manifestanti di uno “Stato civile”, rispettoso della religione ma non sottomesso ad essa”. Secondo l’egiziano gesuita, tra i massimi esperti di Islam e di rapporti tra Islam e Occidente, il passaggio attraverso una fase islamista è inevitabile dato che “dopo decenni di dittatura, d’impoverimento culturale e d’islamizzazione della società, il popolo non ha la capacità di discernere, di fare una scelta ragionata”. Infatti, continua “il 40% della popolazione d’Egitto è analfabeta e in molti casi ha accesso solo ai servizi sociali, agli ambulatori, alle scuole messe in piedi dai Fratelli musulmani”. Tutto sta nelle modalità con cui i partiti islamisti affronteranno e risolveranno i problemi, confrontandosi necessariamente con i settori liberali del Paese.

Un dato da tenere in considerazione ci giunge dal primo turno di elezioni, svoltesi nell’autunno 2011 e che hanno definito la composizione dell’Assemblea popolare egiziana. All’epoca il 60% dei consensi sono andati a partiti islamici, dai moderati Fratelli musulmani ai ben più radicali salafiti. Si comprende dunque la trepidazione con cui le comunità cristiane vivono l’attuale periodo di difficile e delicata transizione verso la democrazia.
Intanto i sondaggi per le elezioni presidenziali indicano che solo il 60% degli intervistati ha le idee chiare in merito. Al primo posto, con il 20% delle intenzioni di voto, si attesta l’ex-ministro degli esteri di Mubarak, Omar Suleiman; secondo posto per il leader dei fratelli musulmani Fatouh con il 12,4% dei potenziali consensi. Non distante da queste cifre il salafita Abou Ismail (11, 7%).
In conclusione bisogna tenere presente che ben dieci potenziali candidati alle presidenziali, alcuni dei quali molto noti e apprezzati, non potranno presentarsi in seguito a una decisione della Commissione Elettorale molto controversa.

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