Un team di ricercatori della University of Wisconsin-Madison ha prodotto un aerogel in grado di assorbire come una spugna il petrolio e altri agenti inquinanti (ad esempio gli ioni metallici pesanti), senza però assorbite l’acqua (Rinnovabili.it).
Il nuovo aerogel permetterà di eliminare velocemente il petrolio scaricato in mare in caso di incidenti. Si getta sulla superficie dell’acqua un foglio di questa spugna che assorbe rapidamente le sostanze inquinanti senza danneggiare l’ambiente marino. Terminato il “lavaggio” dell’acqua marina, si può strizzar via il petrolio e la “super-spugna” potrà essere riutilizzata. Il potere assorbente diminuisce ad ogni utilizzo, ma per due volte l’efficienza rimane al massimo.
Il gruppo di ricerca, guidato dalla professoressa di ingegneria biomedica Shaoqin “Sarah” Gong, ha spiegato che il nuovo materiale, formato da nanofibrille di cellulosa, è in grado di assorbire fino a 100 volte il proprio peso ed è prodotto con una tecnologia “verde” che non utilizza solventi organici, ma processi di liofilizzazione. Per ora la sperimentazione è all’inizio e si dovrà lavorare ancora molto prima di arrivare ad una produzione in serie, ma le premesse sono buone.
Sul sito CleanTechnica è disponibile un video che mostra il comportamento di questa spugna eccezionale, qui sotto alcune immagini tratte dalla dimostrazione.
Gli aerogel
Gli aerogel hanno l’aspetto di una soffice schiuma, ma sono solidi, i solidi più leggeri che esistano, poco più pesanti dell’aria, che, infatti, costituisce anche il 98% di questi materiali formati da una miscela di un solido con un gas.
Hanno una struttura simile a quella di un gel (gelatina, miscela di un solido con un liquido). Per ottenere l’aerogel si sostituisce nel gel il liquido con un gas, un procedimento molto complesso e difficile perché la parte solida può collassare e sbriciolarsi: il gas intrappolato svanisce lasciando soltanto alcuni granelli solidi.
Il primo aerogel ottenuto, detto “fumo solido”, consisteva in silice (2%) mescolata ad aria (98%). Nonostante l’aspetto quasi evanescente e l’estrema leggerezza, questa sostanza ha una grande resistenza: un blocco di 2 grammi può sostenere un peso di oltre 2 chili.
Gli aerogel sono già stati utilizzati in molti campi, dall’isolamento termico degli edifici alle missioni spaziali: uno è servito per intrappolare granuli di polvere cosmica e portarli a terra senza danneggiarli.
Il petrolio in mare
I danni causati a mari e oceani dalle fuoriuscite di petrolio nel secolo scorso sono incalcolabili (ESA). Il petrolio, più leggero dell’acqua, quando si riversa in mare forma una pellicola sulla superficie dell’acqua che riduce l’ossigenazione e il passaggio della luce influendo sulla fotosintesi delle alghe. Se ingerito, il petrolio danneggia reni, fegato e altri organi a tutti gli animali.
Inoltre gli uccelli acquatici l’olio penetra nelle piume riducendo l’isolamento termico e rendendo impossibile il volo. In seguito il petrolio affonda e si deposita formando grumi di catrame che inquinano le coste e i fondali per lunghi anni.
Gli incidenti continuano a verificarsi e la rimozione del petrolio avviene molto lentamente: attualmente non è ancora stato bloccato il versamento iniziato l’8 novembre del 2013 quando la chiatta Power Barge 103 della Napocor, danneggiata dal tifone Yolanda, si è incagliata in prossimità della costa di Panay Island, nelle Filippine.
Ogni anno si riversano in mare circa 4 milioni di tonnellate di petrolio, e ben 600mila nel solo Mediterraneo, uno dei mari più in pericolo per l’elevato transito di petroliere che dal Golfo Persico sono dirette alle coste europee e per il fatto che, essendo un mare chiuso, non riesce a disperdere rapidamente gli agenti inquinanti. Uno dei più gravi incidenti del Mediterraneo è avvenuto nel 1991 quando per uno scoppio avvenuto a bordo la superpetroliera Haven naufragò nel Golfo di Genova vicino ad Arenzano, causando cinque morti tra l’equipaggio e la fuoriuscita di oltre centomila tonnellate di petrolio che in gran parte si trova ancora oggi depositato sui fondali marini. Il relitto oggi è visitabile dai sub (nell’immagine).
A livello mondiale il disastro più grave si è verificato il 20 aprile 2010 nelle acque del Golfo del Messico quando, in seguito ad uno scoppio avvenuto a 1.500 m di profondità in un pozzo per l’estrazione di petrolio, nella piattaforma Deepwater Horizon si è innescato un incendio che ha portato alla morte di 11 persone e all’affondamento della piattaforma. Per 106 giorni hanno continuato a riversarsi in mare milioni di barili di greggio che hanno inquinato le coste della Louisiana. Tutta la flora e la fauna della zona ha subito gravi perdite e ancora oggi i fondali sono ricoperti da masse di catrame che impedisce il rifiorire della vita.
La colpa della fuoriuscita di greggio non è da attribuire solo agli incidenti: nel viaggio di ritorno le petroliere caricano acqua che serve come zavorra e per il lavaggio delle cisterne; in seguito la scaricano in mare insieme ai residui del carico causando un continuo inquinamento delle acque.
L’inquinamento causato dalle attività umane si aggiunge a quello prodotto dalla Terra stessa. Una parte degli idrocarburi presenti nelle acque marine, infatti, è di origine naturale: dai giacimenti intrappolati negli strati rocciosi petrolio e metano possono fuoriuscire sul fondale attraverso fessure e porosità. Raggiunta l’acqua, essendo più leggeri, formano sottili pennacchi che risalgono in superficie. Il metano si diffonde nell’aria (contribuendo ad aumentare i gas serra), mentre il petrolio si mescola all’acqua disperdendosi.
Fare Geo
• Visualizza con una mappa concettuale le diverse cause che provocano inquinamento marini da idrocarburi e gli affetti di questo inquinamento sulla vita nelle acque.