Speciale ambiente - L’aria, elemento vitale

Speciale ambiente - L’aria, elemento vitale

Nella nostra indagine sulle risorse ambientali, dopo l’acqua e il suolo, presentiamo un altro elemento necessario alla vita sulla Terra: l’aria. Parleremo della sua natura e della sua condizione attuale nel mondo e in Italia, individuando anche i principali processi inquinanti che sono alla base del degrado dell’atmosfera e che ne compromettono le funzioni vitali. Come sempre, le informazioni e i materiali da presentare agli studenti sono completati da suggerimenti didattici, da proporre anche nella modalità della didattica digitale integrata.

L’atmosfera: un identikit

Se ci venisse chiesto quale caratteristica rende il nostro pianeta unico nel Sistema solare, sicuramente risponderemmo che sulla Terra è presente la vita. Che cosa rende possibile questa unicità? Ancor prima dell’acqua allo stato liquido, sono la massa della Terra e la sua posizione nel Sistema solare a permetterle di essere circondata da una sfera gassosa, detta atmosfera, con un forte dinamismo dovuto all’interazione con l’energia irraggiata dal Sole.

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L’atmosfera è costituta da materia, molecole che tendono a sfuggire e sono trattenute da una forza di attrazione gravitazionale proporzionale alla massa della Terra. Più ci avviciniamo alla superficie terrestre più elevata è la densità delle molecole.

La maggior parte della massa gassosa è quella che si concentra intorno alla Terra a partire dal suolo fino a un’altitudine di circa 12 km e che prende il nome di troposfera. Questo è lo strato che ci riguarda maggiormente, quello dove si verificano fenomeni meteorologici e scambi continui di molecole gassose con gli esseri viventi e con quello che essi producono.

Funzioni dell’atmosfera

Quando parliamo di ambiente non possiamo ignorare che tutti gli esseri viventi, compresa l’intera popolazione umana, interagiscono con l’atmosfera per le loro funzioni vitali.

Il ruolo difensivo dell’ozonosfera

La porzione più esterna dell’atmosfera ha una densità di molecole bassa, ma sufficiente a “tenere impegnate” le radiazioni solari a più elevata frequenza. Per esempio nella stratosfera, che è la porzione che si trova fra 12 e 50 km circa di distanza dal suolo terrestre, è incluso uno strato fortemente dinamico posto a circa 25 km di altitudine.

In questa porzione di spazio intorno alla Terra si realizza una reazione fotochimica che impegna molecole di ozono (O3) e di ossigeno (O2) in uno scambio di atomi continuo, alimentato dalla radiazione ultravioletta proveniente dal Sole. Questo fenomeno è determinante per garantire la persistenza della vita sulla Terra, perché impedisce all’energia dei raggi UV-B e UV-C ad elevata frequenza di danneggiare irreversibilmente tutti gli esseri viventi.

La troposfera e le forme di vita sul pianeta

La porzione gassosa più prossima al suolo terrestre, la troposfera, è invece quella in cui siamo immersi e interagisce direttamente con gli esseri viventi.

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La concentrazione delle molecole varia in base alla posizione, perché la troposfera è più spessa vicino all’equatore e più sottile ai poli: azoto (N2) e ossigeno (O2) insieme costituiscono il 99% della componente gassosa; sono presenti piccole quantità di altri elementi come argon (Ar), idrogeno (H2), elio (He) e neon (Ne).

Nella troposfera ci sono componenti gassose la cui abbondanza è misurata in parti per milione (ppm) tra cui l’anidride carbonica (CO2), il protossido d’azoto (N2O), il metano (CH4) e l’ozono (O3) per citare quelli più strettamente legati al sistema di produzione antropico.

I gas dell’atmosfera

L’azoto, abbondante e indispensabile

Il composto gassoso più abbondante nella troposfera è l’azoto (N2). Due macroscopici fenomeni biologici che si svolgono nel suolo riguardano l’azoto dell’aria:

  • la fissazione dell’azoto, effettuata da microorganismi (azoto-fissatori) capaci di utilizzare l’azoto atmosferico per sintetizzare composti azotati;
  • la denitrificazione, il processo svolto da batteri (denitrificanti) capaci di utilizzare per i loro processi vitali i composti dell’azoto liberando come prodotto di scarto l’azoto molecolare gassoso.

Gli organismi non possono svolgere nessuna funzione biologica senza l’ausilio dell’azoto, che entra nella composizione di macromolecole organiche come proteine, ATP e acidi nucleici, ma la maggior parte di essi non è in grado di utilizzare direttamente l’azoto atmosferico. L’azione dei batteri azoto-fissatori, quindi, è un passaggio obbligato che permette la formazione di prodotti azotati dai quali le forme di vita vegetale possono ricavare l’azoto e introdurlo nella catena alimentare.

I cicli naturali e la loro alterazione

L’atomo di azoto è soggetto a reazioni chimiche ambientali cruciali, che lo portano a entrare nella composizione delle molecole gassose nell’aria, degli ossidi di azoto nel suolo, di acidi nucleici e proteine nelle forme di vita, per essere infine riportato nell’aria di nuovo sotto forma di azoto gassoso ad opera dei batteri denitrificanti.

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Il ciclo naturale dell’azoto è alterato dalle attività umane. La produzione agricola mondiale è basata sull’uso dei fertilizzanti azotati che vengono ottenuti artificialmente in un processo che come primo passaggio ha la sintesi industriale dell’ammoniaca. Una notevole concentrazione di ammoniaca nei suoli è dovuta anche agli escrementi del bestiame negli allevamenti intensivi.

In natura, alcuni batteri del suolo convertono l’azoto atmosferico in azoto minerale, essenziale per la crescita delle piante. I fertilizzanti, però, inducono la crescita della vegetazione introducendo azoto e fosfati , che non riescono a essere assorbiti interamente dalle piante. L’eccesso può raggiungere fiumi e laghi, e indurre il fenomeno dell’eutrofizzazione che mette in pericolo la biodiversità nelle acque.

L’atteggiamento dell’uomo nei confronti dei composti dell’azoto è cambiato nel tempo, dalla fiducia incondizionata nel corso della rivoluzione verde (tra gli anni Quaranta e gli anni Settanta del Novecento) si è passati a un uso più controllato dei fertilizzanti e a identificare alcuni composti dell’azoto come pericolosi per l’ambiente e la salute.

Per esempio, oggi si presta maggiore attenzione all’effetto climalterante del protossido d’azoto (N2O), un gas che contribuisce a intensificare l’effetto serra e che viene liberato da alcuni batteri che agiscono sui terreni agricoli.

Il ruolo dell’ossigeno

Tutte le forme di vita contribuiscono a utilizzare e rilasciare composti gassosi nell’aria. La maggior parte degli organismi, per esempio, è in grado di utilizzare l’ossigeno molecolare dell’aria attraverso il processo di respirazione cellulare aerobica che fornisce loro l’energia.

Le forme di vita vegetale, oltre a utilizzare la respirazione, hanno anche la capacità di effettuare la fotosintesi clorofilliana, altro processo che influenza la composizione dell’aria perché consuma anidride carbonica liberando ossigeno.

L’atmosfera primordiale della Terra, prima della comparsa delle forme di vita vegetali, era molto meno ricca di ossigeno. Per osservare i cambiamenti avvenuti sulla superficie terrestre e i cambiamenti nell’atmosfera nel bilancio fra ossigeno e anidride carbonica si può utilizzare l’applicazione Earthviewer, una simulazione della Terra che mostra come si presentava la superficie milioni di anni fa e come sono cambiate le proporzioni di ossigeno e anidride carbonica nell’atmosfera.

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Visualizzazione del sito Earthviewer: in alto a sinistra le quantità di ossigeno e anidride carbonica presenti nell’atmosfera.

L’anidride carbonica e le attività umane

L’anidride carbonica nell’aria è considerata fra i principali composti responsabili dell’aumento dell’effetto serra. Si tratta di un composto che viene emesso nel corso di fenomeni naturali come le eruzioni vulcaniche e la respirazione biologica, ma la sua quantità in atmosfera è cresciuta a causa dell’intensificarsi delle attività umane che prevedono processi di combustione delle biomasse e degli idrocarburi, per la deforestazione e gli allevamenti intensivi.

Il grido d’allarme sull’aumento dell’anidride carbonica si è diffuso quando sono stati confrontati i trend dell’aumento del gas in atmosfera con l’aumento delle attività industriali e di trasporto, individuando relazioni significative. Da allora tutti i popoli sono stati chiamati a occuparsi di ciò che altera la composizione dell’aria, con particolare attenzione alle attività che producono un aumento di CO2.

L’aumento dei gas serra

Per osservare i cambiamenti dei composti climalteranti (gas serra) in atmosfera, è attivo il progetto di monitoraggio globale che mostra i trend mensili nella quantità di anidride carbonica, metano, protossido di azoto e esafluoruro di zolfo, misurati all’osservatorio di Mauna Loa nelle Hawaii (Global Monitoring Laboratory).

Questi gas sono in grado di assorbire la radiazione infrarossa emessa dal suolo terrestre contrastando il raffreddamento naturale dell’aria e producendo una condizione di riscaldamento medio globale (effetto serra). La misura dell’anidride carbonica viene effettuata costantemente dall’osservatorio dal 1974 e mostra un trend in ascesa, diffuso da coloro che si sono battuti per far riconoscere il contributo consistente delle attività antropiche all’aumento della CO2 in atmosfera.

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Il grafico mostra l’incremento della concentrazione media mensile di anidride carbonica, misurata al Mauna Loa Observatory, alle Hawaii.

Il monitoraggio costante degli altri gas è più recente. Il metano e il protossido d’azoto sono più rari e misurati in parti per miliardo, ma anch’essi crescono nel tempo con trend preoccupante. Lo stesso accade con l’esafluoruro di zolfo, gas serra raro e proveniente da alcune produzioni industriali. La sua presenza è calcolata in parti per trilione, ma il composto viene monitorato perché la sua capacità di agire come climalterante è oltre ventimila volte più efficace di quella dell’anidride carbonica.

L’impegno della comunità internazionale

L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) fornisce i riferimenti scientifici per le decisioni dell’ONU relative al cambiamento climatico globale.

Contribuiscono studiosi provenienti da 195 Paesi suddivisi in gruppi di lavoro che sviluppano tematiche specifiche. Secondo l’IPCC l’atmosfera della Terra viene alterata dalle attività umane in modi che mettono a rischio la salute della popolazione e gli equilibri del pianeta. I maggiori pericoli possono essere raggruppati in quattro categorie:

  1. cambiamento climatico;
  2. inquinamento dell’aria;
  3. riduzione dell’ozono stratosferico;
  4. emissione di sostanze tossiche persistenti e capaci di bioaccumulo.

Il cambiamento climatico è un pericolo riconosciuto che viene richiamato negli obiettivi dell’Agenda 2030 (Goal 13: lotta contro il cambiamento climatico). La preoccupazione internazionale sull’aumento globale della temperatura si è concretizzata nel 2015 con il documento internazionale noto come “Accordo di Parigi”. C’è stata un’intesa fra i governi per operare in modo da mantenere l’aumento medio della temperatura mondiale ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali come obiettivo a lungo termine. Gli studi più recenti dell’IPCC suggeriscono che tollerare un aumento della temperatura di 1,5 °C a livello globale permetterebbe ancora di contenere i danni più gravi.

L’UE e il richiamo dell’Agenzia Ambientale Europea

L’Unione Europea nel quadro dell’Accordo di Parigi si è impegnata a ridurre le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 40% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Il piano per la ripresa dell’Europa del 2020 (EU Recovery Fund) contiene, per la lotta ai cambiamenti climatici, azioni alle quali verrà riservato il 30% dei fondi europei.

L’investimento di ogni Paese implica una transizione che porta a digitalizzare gli uffici della pubblica amministrazione e adottare, per esempio, misure per l’utilizzo delle risorse rinnovabili, l’efficienza energetica degli edifici, i trasporti sostenibili e la diffusione delle stazioni di ricarica dei mezzi elettrici.

L’Unione Europea, attraverso l’Agenzia Ambientale Europea (AAE, l’organismo che monitora la situazione ambientale nel continente) ha pubblicato il report The European environment – State and Outlook 2020. Questo documento ufficiale richiama a uno sforzo maggiore in campo ambientale.

Conclude, infatti, che i Paesi europei hanno raggiunto un elevato livello di sviluppo umano ma non sostenibile perché cresciuto a spese dell’ambiente e attualmente non si intravede la possibilità di “realizzare entro il 2050 uno stile di vita che rispetta i limiti del pianeta”. Secondo l’AAE è richiesto uno sforzo maggiore per realizzare cambiamenti radicali negli stili di vita, nella produzione e il consumo e nell’istruzione per la diffusione delle conoscenze.

Le tragedie causate dell’uomo

Se oggi siamo in grado di avere una visione sistemica che ci permette di investire sulla gestione delle emissioni in atmosfera, lo dobbiamo ad alcuni eclatanti errori del passato.

Uno degli incidenti industriali più gravi di tutti i tempi e con impatto a lungo termine accadde nel 1976 nell’area industriale di Meda-Seveso-Desio dove per un malfunzionamento di un reattore dell’azienda ICMESA si sprigionò una quantità enorme di diossina, che costrinse centinaia di persone a spostarsi dalle aree interessate. La sostanza ebbe immediati effetti come erbicida, ma diventò in seguito nota per l’azione sulla salute umana come interferente endocrino e per il bioaccumulo nell’organismo (attraverso gli alimenti).

Ci sono altri esempi di eventi catastrofici di emissione di sostanze tossiche nell’aria interamente attribuibili a una cattiva previsione del rischio. Durante la tragedia di Bhopal del 1984, una nube tossica si sprigionò da uno stabilimento della Union Carbide India Limited provocando gravi intossicazioni e il decesso di migliaia di persone.

La catastrofe di Chernobyl nel 1986 portò nell’aria sostanze radioattive, con conseguenze devastanti e durature nel tempo per le popolazioni presenti intorno alla centrale, e il vento diffuse le sostanze pericolose per migliaia di chilometri.

Non c’è da stupirsi se negli anni successivi è cresciuta la preoccupazione per le sostanze tossiche che vengono rilasciate negli impianti industriali, un’attenzione che ha stimolato investimenti e politiche di protezione dell’ambiente. In Italia il rischio di liberare sostanze tossiche nell’aria attraverso un potenziale incidente si è ridotto perché le normative europee obbligano le aziende a controllare la sicurezza degli impianti. Tuttavia ci sono aree del Paese dove operano criminali che gestiscono sostanze tossiche e talvolta se ne liberano nell’aria con la combustione senza controllo. Sono azioni irresponsabili che mettono a rischio la salute di migliaia di persone liberando e diffondendo a largo raggio le sostanze tossiche.

Il caso dell’ozono stratosferico

L’allarme sull’assottigliamento dello strato di ozono risale agli anni ’70 quando si scoprì che gas inerti come i clorofluorocarburi (CFC) sono in grado di raggiungere inalterati la stratosfera dove, per l’esposizione alla radiazione ultravioletta, si forma cloro reattivo. Il cloro agisce da catalizzatore accelerando la reazione che trasforma l’ozono in ossigeno.

Negli anni ’80 si diffuse una certa preoccupazione perché le misure dell’ozono stratosferico effettuate dalla NASA sull’Antartide ne avevano dimostrato la riduzione del 40% rispetto ai livelli normali. Nel 1987 ventitré nazioni firmarono il protocollo di Montreal sulla base del quale i Paesi industrializzati si impegnavano a dimezzare i consumi di CFC entro il 1999. In questo caso l’azione è stata relativamente rapida, anche se il cloro che provoca la reazione nella stratosfera non ne esce alterato e saranno quindi lunghi i tempi di ripresa per ristabilire livelli di sicurezza.

Attualmente lo strato di ozono è in lenta ripresa, e la conoscenza e la percezione del problema è migliorata come dimostra l’investimento sul sistema Copernicus, che raccoglie una mole di dati geografici e ci permette di tenere sotto controllo il fenomeno. Con successivi aggiornamenti dei propri regolamenti, l’Unione Europea ha messo al bando i CFC dal 2015.

Fai click sull’immagine per vedere l’animazione sull’assottigliamento dello strato di ozono.

Qualità dell’aria e rischi per la salute

Può farci male l’aria? L’Organizzazione Mondiale della Sanità fornisce periodicamente le linee guida che determinano la quantità massima di alcune sostanze chimiche che non devono essere superate perché provocano dei rischi accertati per la salute umana, colpendo non soltanto l’apparato respiratorio ma generando patologie multiorgano.

Le persone che corrono i rischi maggiori sono quelle che abitano in aree nelle quali si ha una sistematica esposizione all’emissione di sostanze nocive. Le componenti che destano più allarme sono dette polveri sottili.

Si tratta di particelle costituite da diverse sostanze chimiche che hanno diametro inferiore ai 10 µm (PM10) o inferiore ai 2,5 µm (PM2,5). Queste ultime sono quelle considerate più rischiose per la salute. Nella frazione PM10 sono presenti componenti che hanno varie origini: solo una parte è di provenienza naturale (aerosol marino, sabbie desertiche), mentre una parte consistente si origina a causa del traffico, della combustione della biomassa, delle attività agricole e industriali.

È impossibile fare un elenco completo dei composti chimici che possono essere presenti nell’aria e che sono pericolosi per la salute umana, ma i composti che generano i maggiori rischi sono il benzopirene, che ha effetti cancerogeni accertati, e tre sostanze tossiche come il biossido d’azoto (NO2), il biossido di zolfo (SO2) e l’ozono (O3).

L’ozono, quando si trova nella stratosfera ci difende dai raggi ultravioletti, ma quando è presente nella parte bassa dell’atmosfera ha riconosciuti effetti sulla salute e si forma per una reazione chimica secondaria soprattutto nei periodi estivi di forte calore.

I biossidi di azoto e zolfo provocano problemi sia acuti che cronici all’apparato respiratorio e contribuiscono alla formazione delle piogge acide, pericolose per l’attività fotosintetica della vegetazione e il degrado degli edifici. Molti degli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute sono a lungo termine, per questo spesso è difficile averne percezione nell’immediato, ma l’analisi spaziale che abbiamo sviluppato negli ultimi anni ci aiuta a capire la correlazione fra abbondanza di sostanze inquinanti e aumento di certe patologie. Grazie alle misure satellitari dell’aerosol abbiamo dati giornalieri della quantità di sostanze presenti nell’aria con un livello elevato di dettaglio.

Qualità dell’aria in Italia

L’ISPRA ha prodotto nel dicembre 2020 un Rapporto sulla qualità dell’aria in Italia basato sulle richieste del D.L. 13 agosto 2010, n.155. I dati fotografano una situazione che non incontra i requisiti di legge, anche se permane un trend di diminuzione degli inquinanti rispetto alla situazione del 2010.

L’aria è un comparto dinamico, quindi la misura delle sostanze inquinanti viene fatta giornalmente e si considerano il numero di giorni in cui viene superato il livello previsto dalla normativa. Nel rapporto che esamina dati del 2019 non ci sono buone notizie per quanto riguarda i livelli di PM10: la situazione peggiore è stata trovata nella Pianura padana dove diffusamente sono stati registrati l’89% dei superamenti dei limiti consentiti. I dati peggiori sul territorio nazionale sono stati registrati nella Valle del Sacco, nel bacino padano nord-orientale e nell’agglomerato Napoli-Caserta.

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Concentrazioni in Italia di PM10 (in alto) e PM2,5 (in basso) nel periodo 2013-2015, medie annuali. Fonte: sciencedirect.com

Per quanto riguarda la misura del biossido di azoto che è legata soprattutto a emissioni dei veicoli, sono state registrate concentrazioni anomale negli agglomerati urbani particolarmente soggetti al traffico. La misura dell’ozono troposferico fa registrare livelli preoccupanti diffusi su tutto il territorio nazionale.

L’Italia è stata deferita alla Corte di giustizia europea per il superamento del PM10 e del biossido d’azoto per il mancato rispetto dei limiti imposti dalle leggi comunitarie, per un lungo periodo di tempo.

L’inquinamento dell’aria non influenza solo l’ambiente e la salute dei cittadini, ma incide anche sugli aspetti sociali ed economici, andando a incidere sulla capacità di realizzare uno sviluppo veramente sostenibile.

Fare Geo

Geografia ed Educazione civica per una cittadinanza consapevole

La scuola ha il compito di fornire agli studenti una visione completa dei problemi climatici, per la maturazione di un personale senso di responsabilità. La geografia e l’educazione civica offrono ai docenti l’opportunità di coinvolgere i ragazzi guidandoli a conoscere e agire responsabilmente, costruendo il proprio futuro.

  • La lettura dei dati geografici è un primo passo per individuare i Paesi del mondo più virtuosi e quelli che maggiormente contribuiscono alle emissioni. Il portale DeA Wing offre molte opportunità di confronto fra Paesi, mettendo a disposizione dati come il consumo di energia elettrica per abitante e la produzione di energia elettrica divisa per tipo di produzione (termoelettrica; idroelettrica; nucleare; da fonti non rinnovabili; da fonti rinnovabili). Seleziona uno dei temi proposti e osserva come è cambiata la produzione energetica nel tempo e nello spazio, usando i dati per realizzare tabelle e mappe da commentare in classe.
  • I casi-studio sono molto utili alla comprensione di un problema. Per esempio, attualmente, l’Islanda risulta al primo posto per consumi d’energia con consumi per abitante che risultano dieci volte più alti di quelli dei cittadini italiani. Approfondendo la questione, si può dare al dato statistico una interpretazione corretta: un Paese vulcanico scarsamente popolato come l’Islanda può permettersi di consumare molto perché fa ampio uso dell’energia geotermica. Seguendo questo metodo, analizza la consistenza delle emissioni di sostanze climalteranti nell’aria sulla base delle statistiche di Eurostat e confrontala con altri dati che puoi ricavare da DeA Wing (crescita della popolazione, consumi, utilizzo di fonti rinnovabili ecc…). Il confronto dei dati permette di dare risposte più complete e fondate dei fenomeni osservati.
  • Per una presa di coscienza del problema, è utile riflettere sui tuoi consumi personali. Puoi utilizzare test e infografiche autoprodotte sulla valutazione dell’impronta di carbonio. Anche il sito Michelin è un valido aiuto per l’organizzazione degli itinerari di geografia turistica, perché fornisce la misura dell’impronta di carbonio calcolata sulla base del percorso e del tipo di carburante utilizzato.
  • Con i tuoi compagni di classe puoi organizzare un gioco di ruolo: ogni studente possiede il profilo di un Paese (con dati e statistiche) e, simulando un summit globale sul cambiamento climatico, dovete trovare una soluzione pacifica che metta d’accordo Paesi con visioni ed esigenze diverse sulla base della presenza delle risorse, della densità di popolazione, dei consumi.

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