Era il marzo 1922 quando a San Donà di Piave, in provincia di Venezia, si riunirono studiosi e politici di tutta Italia per definire gli obiettivi di un’attività che avrebbe ridisegnato il territorio e l’economia della Penisola: la gestione delle acque irrigue operata dai Consorzi di bonifica. Quest’anno ricorre il centenario di quell’importante evento. Oggi come allora, l’attenzione dei Consorzi di bonifica e di irrigazione (riuniti sotto la sigla dell’ANBI) è rivolta alla difesa e alla regolazione idraulica del paesaggio per la sicurezza territoriale, ambientale e alimentare del Paese, contribuendo in tal modo a uno sviluppo sostenibile.
Le pianure d’Italia, un paesaggio fragile
Il territorio del nostro Paese è il risultato delle trasformazioni operate dall’uomo nel corso dei secoli. Mentre il territorio agricolo collinare e montano deriva dalla sistemazione dei terreni, le pianure sono state conquistate dalla bonifica idraulica.
Si tratta di un territorio estremamente fragile, che a causa dei cambiamenti climatici e dell’eccessivo consumo di suolo ha bisogno di continua manutenzione. Inoltre, per effetto dell’impermeabilizzazione del suolo, che ha modificato il regime delle acque superficiali, sono cresciute le esigenze di difesa idraulica mediante opere di bonifica.
Le bonifiche moderne e la trasformazione del territorio
La fondazione della moderna bonifica italiana risale a un congresso delle bonifiche venete che si tenne a San Donà del Piave dal 23 al 25 marzo 1922.
Con la creazione dei Consorzi di bonifica e di irrigazione si attuò un’azione strategica per la sicurezza idrogeologica dei territori attraverso la gestione di serbatoi artificiali e di impianti di irrigazione collettiva.
Molti dei primi interventi di bonifica erano destinati prevalentemente a ridurre le aree paludose e la diffusione della malaria, che rendeva precarie le condizioni igienico-sanitarie delle popolazioni, e a recuperare nuove terre per lo svolgimento delle attività agricole.
Con l’attuazione di sistemi irrigui sempre più completi, l’Italia aveva già superato il milione di ettari all’inizio del XX secolo, i 2 milioni nel secondo dopoguerra e i 3,3 milioni agli inizi del 1980.
Passiamo ora in rassegna le principali aree italiane in cui sono state operate – in epoca antica e moderna – gli interventi di bonifica più significativi. Da Nord a Sud, in tutta la Penisola sono state strappate all’abbandono e all’improduttività vaste aree fertili.
La bonifica del Polesine: una millenaria lotta contro l’acqua
Il Polesine, in Veneto meridionale, si trova tra il basso corso dell’Adige e quello del Po. Delimitato a est dal Mare Adriatico, è solcato da una miriade di corsi d’acqua e da alvei di antichi fiumi. La naturale depressione del territorio si è aggravata in seguito al fenomeno di subsidenza, ossia il graduale abbassamento del livello del terreno, causato dalle estrazioni metanifere negli anni ‘50 e ’60. Ampie porzioni del territorio sono perciò sotto il livello del mare, in particolare il Basso Polesine.
Gli Etruschi per bonificare il territorio paludoso intorno ad Adria costruirono dei canali chiamati “fosse”, poi mantenuti e ampliati dai Romani. Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, il Polesine fu abbandonato per circa cinque secoli; l’Adige cambiò il proprio corso e a causa della scarsa manutenzione delle opere idrauliche il territorio si tramutò in palude.
Fino al 1530, quando la Repubblica Veneta istituì il Magistrato delle Acque destinato alla bonifica dei terreni e alla regolazione del deflusso delle acque.
Le opere moderne nel Polesine
Ci fu poi un terzo grande periodo di bonifica, che va dalla metà dell’800 alla metà del ’900. Allora le prime idrovore e le prime macchine a vapore permisero di prosciugare migliaia di terre paludose. Con gli anni ’70 la competenza delle opere di bonifica passa alle Regioni, che intervengono con mezzi adeguati recuperando i danni causati dalla subsidenza. L’ultimo atto è stata l’istituzione nel 2010 del Consorzio di bonifica Adige Po.
La bonifica dell’Emilia-Romagna: il canale artificiale più lungo
La pianura emiliano-romagnola ha richiesto nel corso dei secoli un intenso lavoro di bonifica e di regolazione e derivazione delle acque, di costruzione e manutenzione degli argini, di canali di prosciugamento o di irrigazione.
Oggi i Consorzi svolgono le funzioni di bonifica e di irrigazione attraverso una rete di circa 19.800 km di canali e di oltre 500 impianti idrovori per il sollevamento delle acque.
Il Canale Emiliano Romagnolo
Questo Canale è una delle più importanti opere idrauliche dell’Emilia-Romagna e d’Italia. Lungo 135 km, è il più lungo corso d’acqua artificiale italiano. Il suo uso prevalente, ma non esclusivo, è irriguo e serve un territorio caratterizzato da un’agricoltura che consuma moltissima acqua (altamente idroesigente) e da diffusi insediamenti civili e industriali.
Nasce tra Ferrara e Bologna mediante derivazione dalla sponda destra del Po e conclude il suo percorso in provincia di Rimini.
Il primo progetto del Canale Emiliano Romagnolo risale al 1620, ma soltanto nel 1947 trova la sua versione definitiva combinando le esigenze di contenimento delle piene del fiume Reno con quelle dell’irrigazione delle pianure bolognese e romagnola. È un sistema idrico complesso, che mantiene per la maggior parte del corso un andamento nord-ovest/sud-est parallelo alla Via Emilia.
La bonifica della Maremma: scompare una palude dal cuore della Toscana
La vasta regione storica della Maremma, che si estende per circa 5000 km² tra Toscana e Lazio, ha subito profondi stravolgimenti nel corso del tempo. Un tempo, occupata da grandi stagni, era il regno della malaria. Nel 1828 il granduca di Toscana Leopoldo II emanò l’editto per la bonifica della Maremma a spese dello Stato. Lavorarono circa 5.000 operai arrivati da varie parti della Toscana, da altri Stati italiani e dall’estero.
La costruzione di un nuovo canale, il Seggio Nuovo, rese fertili i campi un tempo paludosi e infestati dalla malaria. I lavori si conclusero nel 1830 e le acque del fiume Ombrone arrivarono nella palude bonificando tutto il territorio circostante. Si diede quindi inizio a una serie di opere strutturali: l’arginatura dei fiumi, la delimitazione degli stagni e delle paludi, lo scavo di canali per il deflusso e la deviazione delle acque con la costruzione di cateratte per regolare il prosciugamento delle aree acquitrinose.
Una trasformazione radicale
Dopo la Prima guerra mondiale con l’Ente Maremma iniziò una seconda fase con un intervento integrale che riguardava non solo l’aspetto sanitario e idraulico, ma anche quello agricolo, puntando sulla coltura dei cereali e sull’allevamento di numerosi capi di bovini.
Smembrati ed espropriati i latifondi, nacquero centinaia di poderi dati in proprietà ai contadini e vennero assegnate terre da coltivare a chi non aveva mai avuto niente. Nasceva così un’agricoltura intensiva e meccanizzata, sostenuta da centinaia di piccole imprese di coltivatori diretti.
Con il passare degli anni, i terreni della Maremma sono stati ordinati sempre più in maniera geometrica attraverso apposite strade. Queste hanno garantito una comunicazione fluida e scorrevole, adatta a venire incontro alle esigenze della popolazione. Oggi siamo di fronte a un territorio rinnovato e letteralmente rivoluzionato rispetto a quello del passato.
Dalle Paludi Pontine all’Agro Pontino
In età remota nel Sud del Lazio si estendeva una vasta laguna, le Paludi Pontine. I primi tentativi di bonifica risalgono ai popoli latini e successivamente ai Romani. Importanti lavori di bonifica furono realizzati da diversi papi e lo stesso Leonardo da Vinci studiò un sistema di canali e di macchine idrovore, anche se il progetto non venne realizzato.
Goethe visitando la zona definì le Paludi Pontine “l’angolo più selvaggio e affascinante d’Europa”, a testimonianza del fatto che la natura aveva preso il sopravvento sugli interventi fino ad allora realizzati.
Bisognò attendere il 1924 per dare inizio a un’imponente opera di bonifica dell’intero territorio: per i lavori vennero reclutati 50.000 operai tra i ceti più poveri del Nord Italia, soprattutto del Veneto. Per scaricare le acque in mare furono impiegati numerosi impianti idrovori e furono costruiti quasi 2500 km di canali di drenaggio.
Le condizioni di lavoro erano durissime: i turni di lavoro erano massacranti e la malaria mieteva numerose vittime tra i lavoratori, anche perché erano poco efficaci o inesistenti le misure di protezione contro gli insetti. In questo modo vennero prosciugate le acque su 135.000 ettari, furono costruite 4000 case coloniche e edificate nuove città.
Ai nuovi coloni veniva dato un terreno coltivabile, una casa nuova con annessa stalla, alcuni animali da lavoro e tutti gli attrezzi necessari. La bonifica idraulica durò undici anni, dal 1926 al 1937: procurò vantaggi economici, sociali e sanitari (determinando la scomparsa della malaria), ma ebbe un alto costo ecologico, con la distruzione di un ecosistema unico al mondo, soprattutto per le rarissime specie faunistiche che vi vivevano e gli 80.000 ettari di foresta planiziale.
Per tutelare gli ultimi lembi di habitat fu istituito il Parco Nazionale del Circeo.
La bonifica del Campidano: la lotta contro la malaria
Il Campidano, situato nella parte sud-occidentale della Sardegna, è la più vasta pianura dell’isola. All’epoca dei Fenici e dei Romani era fertilissima, ma un’epidemia di malaria, importata dalle navi dei colonizzatori, decimò gli abitanti e ne paralizzò l’economia.
Fu solo dopo le bonifiche avviate nel Novecento che il territorio tornò a essere salubre e abitabile: oggi i suoi stagni sono centri di conservazione di biodiversità, dove sostano i fenicotteri rosa.
A Milano nel 1918 si costituì la Società Bonifiche Sarde (SBS) con l’obiettivo di avviare la bonifica idraulica e agraria dei terreni in Sardegna, l’impianto e l’esercizio di reti di irrigazione e l’esercizio della pesca su un’estensione di 18.000 ettari del Campidano.
I primi lavori di bonifica idraulica e di irrigazione iniziarono nel 1922; successivamente si passò alla bonifica agraria, con una fascia dunale di rimboschimento di circa 800 ettari di pini e di duecentomila eucalipti, barriere naturali frangivento.
L’area, prima completamente desolata e deserta, ha potuto essere messa a coltura e divisa in aziende rurali di 800 ettari l’una. Con le sue 300 aziende che producono latte, è diventata un’importante realtà economica.
Fare Geo
- Hai avuto occasione di vedere nel tuo territorio canali di bonifica, dighe o altre opere idrauliche? Descrivile con una scheda o una presentazione sintetica corredata da fotografie.
- Immagina di avere il compito di fare da guida a un gruppo di studenti interessati alle bonifiche e scrivi una breve scaletta di come organizzeresti la visita.
- Oggi si tende a tutelare le zone umide. Immagina un dibattito tra i sostenitori delle bonifiche e gli ambientalisti: esponi brevemente gli argomenti che, a tuo parere, si possono addurre a sostegno di ciascuna tesi.
- Si calcola che un terzo della popolazione mondiale sia a rischio di contrarre la malaria. Cerca in rete informazioni su questa malattia infettiva e sulla sua diffusione nel mondo.
- Sei invitato a partecipare a un concorso fotografico dedicato al tema “Danni e benefici dell’acqua”. Quali immagini sceglieresti per ognuno dei due aspetti?
- Cerca in rete informazioni sugli “scarriolanti”, i lavoratori che trasportavano la terra per mezzo delle loro carriole durante i lavori di bonifica, contribuendo così a modificare l’aspetto di molte aree del nostro Paese. Puoi allargare la ricerca trovando (e ascoltando) i tipici canti popolari di lavoro e di lotta (per esempio, Maremma amara).