Pace, giustizia, istituzioni. A che punto siamo?
Il Goal 16 dell’Agenda 2030 punta a realizzare società pacifiche e inclusive per uno sviluppo sostenibile, in cui tutti abbiano uguali diritti e con istituzioni efficaci, responsabili e inclusive a tutti i livelli. L’obiettivo è molto ambizioso e copre una prospettiva molto ampia, intrecciandosi con gli altri Goal dell’Agenda.
Negli ultimi anni non sono stati compiuti progressi sostanziali riguardo le violenze (soprattutto verso le donne), la promozione dello stato di diritto, il rafforzamento delle istituzioni a tutti i livelli o l’aumento delle possibilità di accesso alla giustizia.
Milioni di persone sono state private della sicurezza, dei diritti e delle opportunità, mentre non sono diminuiti gli attacchi contro attivisti per i diritti umani e giornalisti che denunciano situazioni di ingiustizia.
Corruzione e violenza
Uno dei principali ostacoli al raggiungimento di questi scopi è la corruzione diffusa tra le istituzioni e le imprese. In occasione della Giornata Internazionale contro la corruzione il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha affermato che “Ogni anno, migliaia di miliardi di dollari – l’equivalente di oltre il 5% del PIL globale – vengono pagati in tangenti o sottratti attraverso pratiche corrotte che minano seriamente lo stato di diritto e sostengono attività criminali quali i traffici illeciti di persone, droga o armi”.
Questo flusso di denaro illegale (evasione fiscale, riciclaggio ecc..) attira risorse economiche che sarebbero essenziali per l’istruzione, la sanità e le infrastrutture di base. Costituiscono quindi uno degli ostacoli principali al finanziamento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile.
Violenza, ingiustizia e insicurezza possono essere presenti anche in parti del mondo in cui non sono in atto conflitti e nei Paesi economicamente avanzati. In Brasile, per esempio, il numero di omicidi è ancora molto alto (oltre 65.000 nel 2017), così come negli Stati Uniti (17.284 nel 2017), dove peraltro gli Stati con la pena di morte (Louisiana e Missouri) hanno registrato tassi di omicidio più elevati rispetto quelli che non la prevedono. Con queste premesse, le previsioni per il 2030 a livello globale non sono incoraggianti (ONU Italia).
Identità perdute
In parecchi Paesi è carente anche la registrazione delle nascite: nel mondo sono troppi i bambini che ufficialmente non esistono. La registrazione della nascita è fondamentale per l’identità giuridica delle persone e garantisce l’accesso ai propri diritti individuali, come i servizi sociali di base e la giustizia legale.
Purtroppo poco meno di tre quarti (73%) dei bambini sotto i 5 anni di età in tutto il mondo hanno registrato le loro nascite, secondo i dati provenienti da 161 Paesi nel periodo dal 2010 al 2018. In molti Paesi è stata raggiunta una copertura anagrafica totale o quasi totale, ma in alcune parti del mondo questo rimane un obiettivo lontano: per esempio, nell’Africa subsahariana meno della metà (46%) di tutti i bambini i minori di 5 anni sono registrati. E anche l’Asia centro-meridionale è in ritardo con il 68% delle registrazioni.
Molto lavoro è stato fatto per migliorare i sistemi di registrazione e per sensibilizzare i cittadini a dotarsi di uno status giuridico, ma sono necessari sforzi continui per garantire che tutti i bambini possano reclamare il loro diritto a un’identità.
Vite a rischio per la giustizia
Le Nazioni Unite hanno registrato nel 2018 ben 397 uccisioni di persone che difendevano i diritti umani. Si trattava di attivisti, giornalisti e sindacalisti che vivevano in Paesi particolarmente a rischio sicurezza e che si battevano per costruire una società più giusta e inclusiva.
Questa cifra non è purtroppo molto diversa da quelle degli anni precedenti, quando gli omicidi di questo tipo si sono verificati con una frequenza simile.
Le vittime operavano con le comunità locali su questioni che riguardavano l’ambiente, la povertà, i diritti delle minoranze e l’impatto delle attività commerciali.
Tra loro, un posto particolare lo occupano giornalisti e blogger (che rappresentano un quarto del numero totale delle vittime) a tragica testimonianza del fatto che l’informazione e la denuncia attraverso i media può dare fastidio ai traffici e agli affari illeciti.
Proteggere coloro che difendono i diritti e le libertà fondamentali di altri, soprattutto dei più deboli, deve essere uno degli obiettivi principali di una politica socialmente sostenibile: le voci che denunciano le ingiustizie vanno rispettate e ascoltate.
Pace, giustizia, istituzioni. Che fare?
Raggiungere una pace mondiale, eliminando i conflitti, combattendo il terrorismo, la criminalità e la corruzione a ogni livello è indispensabile per permettere uno sviluppo sostenibile che includa tutti.
Se si pensa che, ancora alla fine del 2017, 68,5 milioni di persone erano state sfollate con la forza a causa di persecuzioni, conflitti, violenze o violazioni dei diritti umani, si capisce che il cammino da compiere è davvero ancora molto lungo.
In questo contesto, alcune categorie sono particolarmente fragili e subiscono più di altre le conseguenze delle ingiustizie. Oltre ai bambini, destinati a rimanere “fantasmi giuridici” o a essere sfruttati nel mondo del lavoro o in altri traffici illeciti, sono le donne a essere maggiormente penalizzate da situazioni precarie e violente.
La pressione internazionale ha portato a ottenere qualche risultato importante: in 46 Paesi, le donne detengono attualmente più del 30% dei seggi in almeno una Camera del parlamento nazionale. È un traguardo significativo, che evidenzia come le azioni politiche e legislative possano determinare cambiamenti sostanziali nella società e nel rispetto dei diritti individuali.
Va però ricordato come, ancora oggi, in 49 Paesi le donne non siano protette in alcun modo da leggi che puniscano le violenze domestiche. Un dato che conferma la necessità di un’azione politica incisiva.
L’impegno dell’ONU nelle zone più a rischio
Il Programma dell’ONU per lo Sviluppo (UNDP) lavora in molti Paesi in cui sono o sono stati in atto conflitti. Questi progetti mirano a facilitare le relazioni tra i popoli e favorire la pace.
In Guatemala il progetto UNDP aiuta le vittime sopravvissute al genocidio del 1982, perpetrato dai militari nei confronti della popolazione maya, a far sentire la propria voce e ad avere giustizia. Nel processo tenutosi nel 2013, oltre trent’anni dopo il massacro, l’ONU ha dato assistenza legale ai parenti delle vittime, sostenuto procuratori e giudici fornendo corsi di formazione e coordinamento con antropologi forensi, anche per aiutare a ritrovare i resti dei familiari scomparsi.
In Afghanistan un progetto UNDP è mirato a mantenere contatti sempre più stretti con i Paesi vicini, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, facilitando il commercio, riducendo la criminalità e migliorando lo sviluppo economico. Concretamente si sono costruiti ponti sul fiume Panj, affluente dell’Amudarja, che costituisce il confine tra Afghanistan e Tagikistan. Oltre alla costruzione dei ponti, il progetto mira a rafforzare le forze di polizia afgane per gestire le frontiere e le emergenze. E molte sono le attrezzature tecnologicamente avanzate fornite insieme a corsi di formazione.
A Cipro, uno dei pochi Paesi ancora oggi divisi, l’UNDP ha allestito un comitato di archeologi, architetti, storici dell’arte e urbanisti di entrambe le comunità per la salvaguardia dell’importante patrimonio culturale dell’isola che, abitata da oltre diecimila anni, è ricca in particolare di monumenti fenici, veneziani, francesi e ottomani. Il progetto, che vuole riconciliare le due zone, ha avuto l’appoggio dell’Unione Europea.
I traguardi
L’Agenda 2030 ha suddiviso il quindicesimo Goal in dodici target, qui sintetizzati, il cui raggiungimento è essenziale per il completamente dei Goal precedenti.
- 16.1 Ridurre significativamente in ogni dove tutte le forme di violenza e i tassi di mortalità connessi.
- 16.2 Eliminare l’abuso, lo sfruttamento, il traffico e tutte le forme di violenza e tortura contro i bambini.
- 16.3 Promuovere lo stato di diritto a livello nazionale e internazionale e garantire parità di accesso alla giustizia per tutti.
- 16.4 Entro il 2030, ridurre in modo significativo i flussi finanziari e di armi illeciti, rafforzare il recupero e la restituzione dei beni rubati e combattere tutte le forme di criminalità organizzata.
- 16.5 Ridurre sostanzialmente la corruzione e la concussione in tutte le loro forme.
- 16.6 Sviluppare istituzioni efficaci, responsabili e trasparenti a tutti i livelli.
- 16.7 Assicurare un processo decisionale reattivo, inclusivo, partecipativo e rappresentativo a tutti i livelli.
- 16.8 Allargare e rafforzare la partecipazione dei Paesi in via di sviluppo nelle istituzioni della governance globale.
- 16.9 Entro il 2030, fornire l’identità giuridica per tutti, compresa la registrazione delle nascite.
- 16.10 Garantire l’accesso del pubblico alle informazioni e proteggere le libertà fondamentali, in conformità con la legislazione nazionale e con gli accordi internazionali.
- 16.a Rafforzare le istituzioni nazionali, anche attraverso la cooperazione internazionale, per costruire maggiore capacità a tutti i livelli, in particolare nei Paesi in via di sviluppo, per prevenire la violenza e combattere il terrorismo e la criminalità.
- 16.b Promuovere e far rispettare le leggi e le politiche non discriminatorie per lo sviluppo sostenibile.
Focus
Il lavoro minorile
Il Goal 16 dell’Agenda 2030 si propone di raggiungere una condizione sociale ed economica di pace e uguaglianza. Promuovere e sostenere azioni per contrastare fenomeni di discriminazione e sfruttamento rientra dunque tra i suoi scopi principali. È il caso della denuncia di una realtà tragicamente ancora molto diffusa nel mondo: il lavoro minorile, la cui eliminazione viene presentata come urgente e necessaria dal Goal 8.
Dati che fanno riflettere
Il dato è impressionante: nei Paesi più poveri del mondo, più di 1 bambino su 4 è impegnato nel lavoro minorile (dai 5 ai 17 anni).
Secondo le recenti stime dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), i bambini sfruttati come lavoratori sono 152 milioni i bambini (68 milioni sono bambine e 88 milioni sono bambini). Circa la metà è costretta a operare in attività pericolose che mettono a rischio la salute, la sicurezza e la vita stessa.
Che cos’è?
È l’attività lavorativa che impiega con la coercizione i bambini (statisticamente in una fascia di età compresa tra i 5 e i 17 anni) per scopi di profitto economico altrui (in questa categoria rientrano anche casi non direttamente legati alla sfera economica, come i bambini-soldato). In questo modo essi vengono privati illegalmente e ingiustamente della loro infanzia, della loro dignità e di un sano sviluppo psico-fisico.
A questi bambini, spesso reclusi ed emarginati, viene negato il diritto di andare a scuola, la possibilità di giocare e di godere dei loro affetti.
Il lavoro minorile comprende varie forme di sfruttamento lavorativo e di abuso psicologico e fisico, spesso in contesti degradati di estrema povertà. Molti di questi lavori riguardano i processi dell’economia globalizzata: agricoltura, miniera, servizi e industrie per la produzione di beni destinati all’esportazione.
Le Convenzioni internazionali
La questione del lavoro minorile è sottoposta a tre importanti Convenzioni internazionali: la Convenzione 138 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) che regola l’età minima per l’entrata nel mondo del lavoro; la Convenzione 182 della stessa organizzazione, relativa alla necessità di eliminare le peggiori forme di lavoro minorile; e la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia.
Queste convenzioni costituiscono il riferimento principale per definire il concetto di lavoro minorile e rappresentano la base della legislazione sul lavoro minorile emanata dai Paesi firmatari.
Diffusione del lavoro minorile
Le aree maggiormente interessate da questo fenomeno sono quelle del continente africano, dove la percentuale media dei bambini lavoratori raggiunge ben il 29%.
Questo dato, nell’ambito dei Paesi meno sviluppati, è in netto contrasto con il Medio Oriente e il Nord Africa, dove la percentuale si riduce al 5%.
Disparità di genere
Tra i bambini che vivono questa terribile condizione, maschi e femmine hanno la stessa probabilità di essere coinvolti nel lavoro minorile. Anche in questo ambito, però, esiste una disparità di genere legata al tipo di attività svolta: è più facile infatti che le ragazze vengano sfruttate per servizi domestici non retribuiti, mentre i bambini e i ragazzi sono impiegati maggiormente in lavori di fatica.
E in Italia?
L’indice composito preparato dall’ASviS riguardo il sedicesimo Goal in Italia rileva un andamento altalenante tra il 2010 e il 2015, con una recente tendenza al miglioramento.
Nonostante questo, la situazione del nostro Paese fa registrare dati non molto confortanti legati a problemi di vecchia data: per esempio, l’eccessiva durata dei processi, la corruzione, la struttura poco efficiente della Pubblica Amministrazione. Tra gli altri, un dato risulta tristemente significativo: l’aumento del sovraffollamento delle carceri (114 detenuti per 100 posti disponibili nel 2017).
A livello geografico, la maggior parte delle tendenze negative si registrano nel Nord e nel Centro Italia, mentre nell’area meridionale la recente tendenza segna un’inversione di marcia.
In generale va però sottolineato come l’Italia abbia sottoscritto negli anni alcuni impegni, tra i quali la parità di accesso alla giustizia, la riduzione dei finanziamenti illeciti e della criminalità organizzata, la lotta a corruzione e concussione, il miglioramento delle istituzioni, la protezione delle libertà fondamentali.
Fare Geo
- Per una settimana insieme ai tuoi compagni fai un’indagine su pace e violenza. Ognuno di voi sceglie un giorno in cui osservare e prendere nota delle notizie riguardanti la pace e quelle su conflitti, atti di terrorismo e altri tipi di violenza riportate dai media (TV, Internet, giornali…). Discutete in classe su quanto avete scoperto e preparate una relazione con dati rilevati e i vostri commenti.
- Consulta la mappa delle guerre disponibile in rete (acleddata.com). Puoi scoprire in quali Paesi sono attualmente in corso dei conflitti e la tipologia di evento (rivolta, protesta, violenze contro i civili…). Sai dire in quali parti del mondo sono maggiormente presenti questi episodi di violenza? Sapresti individuare le cause principali delle guerre che attualmente insanguinano il pianeta?
- Fai una ricerca in rete sulle spese che i Paesi effettuano per gli armamenti: visualizza i dati con un grafico e allega una breve relazione su quanto hai scoperto. E l’Italia, che posto occupa in questa classifica?
- Sul sito dell’UNICEF cerca dati e testimonianze sul tragico fenomeno dei bambini-soldato; poi sintetizza i risultati della tua ricerca in una presentazione multimediale che illustri questa condizione di estremo sfruttamento minorile con l’aiuto di immagini, video, grafici.
Che cosa possiamo fare?
- Sostenere un ente di beneficenza con attività o donazioni.
- Denunciare, nei nostri luoghi di vita e nelle situazioni quotidiane, ogni forma di violenza, discriminazione, bullismo, valorizzando le occasioni di incontro e inclusione.
- Fare volontariato in ONG o associazioni che operano in favore dei diritti umani a livello globale e locale.
- Acquistare prodotti dai Paesi in via di sviluppo: le etichette del commercio equo e solidale indicano gli articoli dei produttori locali nei Paesi in via di sviluppo.
- Tenerci informati seguendo le notizie locali e quelle internazionali sui media a disposizione (tv, web, riviste e giornali).