Paesaggi italiani: la Lomellina, un territorio disegnato dalle risaie

Paesaggi italiani: la Lomellina, un territorio disegnato dalle risaie

Situata nella Lombardia sud-occidentale, in provincia di Pavia, la Lomellina può essere definita la “Mesopotamia lombarda”. È infatti compresa fra i fiumi Po a ovest e a sud, Sesia a ovest e Ticino a est. Se nell’Oltrepo Pavese le viti dominano incontrastate, qui l’elemento dominante è l’acqua e la coltivazione predominante quella del riso, che copre quasi il 40% dell’intera superficie coltivata a riso in Italia. La Lomellina è un unicum paesaggistico grazie all’alternanza di antichi centri urbani, aree di grande valore naturalistico e distese a perdita d’occhio di fertile campagna.

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Lomellina

  • Regione: Lombardia
  • Provincia: Pavia
  • Area geografica: Lombardia sud-occidentale

Il nome Lomellina deriva dal paese di Lomello, l’antica Leucomellum, cioè monte (mellum) bianco (leuco).

Un paesaggio costruito dall’uomo

Nulla del paesaggio della Lomellina è naturale, tutto è stato costruito, trasformato dall’uomo con secolare pazienza. L’ambiente attuale è frutto di un lungo lavoro che nel corso dei secoli ha reso queste terre fra le più fertili del mondo.

In origine l’area fu modellata da fiumane che depositarono sabbia e ciottoli formando dossi, conche e avvallamenti che, costellati di paludi e boschi, si conservarono fino al Medioevo.

Fu però soltanto nell’Ottocento che il paesaggio della Lomellina iniziò ad assumere il suo aspetto tipico, fatto di rogge (canali artificiali), chiuse, campi allagati. Parallelamente iniziò a svilupparsi quel mondo agricolo fondato sulla famiglia allargata e sul bracciantato: un paesaggio reso celebre da tanti libri e da film come Riso amaro.

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Una vista dall’alto dei campi coltivati della Lomellina.

Il “mare a quadretti” della Lomellina

Questo territorio, ricco di risorgive e di acque superficiali, fin dalla fine del XV secolo si rivelò adatto a piantare i semi del riso, una pianta di origine tropicale.

ll riso si coltiva nelle risaie, campi perfettamente livellati, per permettere all’acqua di defluire facilmente, e divisi in vasche (le camere) mediante argini di terra alti 30-40 centimetri. In primavera, tra aprile e maggio, dopo l’aratura i campi vengono inondati.

Durante l’inondazione dei campi le risaie della Lomellina, estese su 90.000 ettari, diventano altrettante lagune artificiali di colore argenteo, che si trasformano in verde pastello con la crescita delle piante. In questa fase il paesaggio è un vero spettacolo. Sembra di galleggiare in un mondo sospeso, dove per decine di chilometri acqua e cielo sembrano confondersi in un “mare a quadretti”.

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Le risaie dopo l’inondazione primaverile: un “mare a quadretti”.

Un mondo che scompare: dalle mondine alle mietitrebbia

Simbolo delle risaie lombarde e piemontesi erano le mondine. Immerse per intere giornate a piedi nudi nell’acqua fino alle ginocchia e con la schiena curva, trapiantavano le pianticelle di riso nei campi allagati, rischiando di contrarre numerose malattie a causa delle zanzare e delle sanguisughe che infestavano le risaie. Poi, dopo 40-50 giorni, mondavano i campi, cioè li ripulivano estirpando le erbe infestanti.

Le pessime condizioni di lavoro a cui erano condannate diedero inizio a proteste e rivendicazioni, ben riassunte dalla canzone Se otto ore vi sembran poche.

Verso gli anni Sessanta del Novecento avvenne la modernizzazione del sistema di coltivazione del riso: il trapianto delle pianticelle veniva effettuato da macchine agricole, mentre la “monda” era ottenuta con l’uso dei diserbanti.

Oggi il riso continua a essere la coltura (e la cultura) dominante della zona, con moltissime pregiate varietà portate sulle tavole di mezza Europa.

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Una mietitrebbia al lavoro. Le spighe di riso maturano a settembre quando tingono di giallo le risaie della Lomellina.

Le cascine: gli avamposti nelle risaie

Le cascine, grandi, complesse, a corte chiusa, sono veri e propri centri di sviluppo e produzione: sono grandi fattorie, costruzioni rurali che raccontano storie antiche e moderne e che si sono andate trasformando nel tempo. Nella bassa pianura irrigua hanno grandi dimensioni, fino ad arrivare a occupare 100 ettari: sono sparse in mezzo alla campagna, lontane qualche chilometro dai centri abitati e sono dotate di stalle, fienili, pozzi, mulini e abitazioni dei contadini. Hanno pianta quadrangolare: al centro è situata la corte o aia.

Alcune cascine sono state aperte alle visite come agriturismi o luoghi di ristorazione, altre organizzano tour guidati per scoprire le loro produzioni; altre ancora hanno progetti più grandi. Nel Comune di Pieve del Cairo, per esempio, un gruppo di imprenditori, riuniti nella Fondazione Darefrutto, sta rigenerando due vaste cascine poste al centro di 250 ettari di terreni agricoli. Il recupero di questo complesso rurale in abbandono ha l’obiettivo di “custodire la terra perché dia frutto senza essere sfruttata”.

Dalla semina del riso in asciutta alla biodiversità smarrita

Nel nostro immaginario la risaia richiama un paesaggio ricco di acqua e canali, dove le verdi piantine di riso che spuntano dall’acqua fanno da sfondo a garzette e aironi, e dove nel passato la mano paziente e sapiente delle mondine si prendeva cura della singola pianta fino a portarla a maturazione.

Oggi questo tradizionale paesaggio risicolo è in gran parte scomparso per effetto dei nuovi metodi di coltivazione, molto lontani da quelli tradizionali. In particolare, la diffusione della semina del riso in asciutta, cioè senza allagare i campi, ha portato sì una maggiore produttività ma ha reso il paesaggio drammaticamente omogeneo, monotono e arido. Sono andate perdute sia la qualità estetica che lo caratterizzava, sia la biodiversità che lo arricchiva.

Come conseguenza, vanno anche scomparendo molte specie animali e vegetali che nel passato trovavano l’habitat perfetto nei campi di riso inondati d’acqua e che un tempo erano un’importante risorsa per le comunità rurali per fronteggiare i cattivi raccolti e la scarsità di cibo. Oggi è sempre più raro osservare aironi, garzette, cavalieri d’Italia, ibis, germani…

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Un esempio di garzaia, il luogo in cui nidificano collettivamente diverse specie di aironi, che prediligono le zone umide come le risaie.

Le sfide del cambiamento climatico

La siccità e la crescita delle temperature estive che da anni colpiscono il Nord Italia e anche la Lomellina mettono a dura prova la coltivazione del riso. I laghi prealpini, che sono i principali serbatoi idrici utilizzati dai coltivatori della Pianura Padana, rimangono per mesi sotto i livelli consueti e i fiumi restano in secca, costringendo a razionare l’acqua per i campi.

In questo contesto, la semina in asciutta del riso può rappresentare una soluzione al razionamento dell’acqua. Molti agricoltori la praticano irrigando più volte i campi, senza sommergerli, a partire dal mese di maggio. In questo modo le giovani piante possono prosperare. Questo metodo di coltivazione sembra possa contribuire a gestire meglio le riserve di acqua e a consumarne meno, anche se in realtà le risaie, quando sono allagate, trattengono a lungo l’acqua e la rilasciano gradualmente nell’enorme falda freatica sottostante.

In ogni caso, la siccità estiva ha un impatto molto duro sulla coltivazione del riso e provoca un forte calo della produzione, come si è verificato nel 2022 e nel 2023. Contrariamente a quanto si può pensare, inoltre, la siccità favorisce la crescita di piante infestanti la cui diffusione viene normalmente frenata dalla tecnica tradizionale dell’immersione. 

Anche l’imperversare di piogge torrenziali per brevi periodi ha gravi effetti sulla gestione del territorio agricolo. Le soluzioni ipotizzate dalle autorità competenti riguardano la gestione delle acque: nuovi bacini artificiali vengono scavati per consentire l’accumulo dell’acqua piovana da distribuire in tempi di necessità. Ma occorrono anche una più oculata gestione delle semine, la sperimentazione di nuove varietà di cereali, e in generale uno sfruttamento meno intenso dei terreni per evitare il tracollo di un’area agricola che dipende soltanto da una monocoltura.

La “piccola Loira della Lombardia”

Quando le risaie sono allagate, il paesaggio della Lomellina riflette nei suoi specchi d’acqua i tantissimi castelli del territorio. Infatti qui non dominano solo le risaie: ovunque si trovano piccoli centri abitati e il territorio è disseminato di castelli e manieri turriti. Anche questa è la cifra della Lomellina, una terra che per questo motivo è stata definita “la piccola Loira della Lombardia”.

Girando per la Lomellina ci si imbatte in queste strutture medievali rosse di mattoni, ancora ben conservate: sono 26 e comprendono piccole perle come il Castello Isimbardi a Castello d’Agogna, il Castello Gallarati-Scotti a Cozzo, l’immenso e imponente Castello di Scaldasole.

Fra i meglio conservati, il Castello di Sartirana, realizzato alla fine del XIV secolo per volere di Gian Galeazzo Sforza, ospita all’interno del complesso architettonico il “Centro Studi e Documentazione della Lomellina” e la pila, struttura del XVII secolo utilizzata al tempo per la pilatura (la sbiancatura) del riso.

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Il Castello di Sartirana è un edificio risalente alla fine del XIV secolo con pianta quadrangolare ed è circondato da un fossato.

Fare Geo

  • Crea uno slogan per promuovere la bellezza della Lomellina con l’obiettivo di attirare i turisti. Elenca cinque motivi di attrazione.
  • Descrivi brevemente l’aspetto delle risaie dopo l’inondazione, cercando di sottolineare sia gli aspetti estetici del paesaggio sia quelli legati al lavoro e all’economia.
  • Spiega perché il grano e il riso sono “piante di civiltà”, due cereali simbolo di mondi e culture diverse.
  • Cerca in rete informazioni sui metodi utilizzati in varie parti del mondo per coltivare il riso sui pendii delle colline e delle montagne. Cerca un’immagine che illustri questa tecnica di coltivazione e scrivi una breve didascalia.
  • La Lomellina vanta anche una ricca tradizione culinaria. Cerca in rete informazioni e ricette su una delle eccellenze gastronomiche della Lomellina: il Salame d’oca di Mortara, la Cipolla Rossa di Breme, l’Asparago di Cilavegna.

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