Raccontare il territorio con il reportage fotografico: intervista al fotografo Gianni Oliva

Raccontare il territorio con il reportage fotografico: intervista al fotografo Gianni Oliva

Artista e fotografo professionista torinese, Gianni Oliva è attivo dal 1985 nel reportage d’autore, che lo porta a viaggiare in tutto il mondo. Le sue fotografie sono state pubblicate da prestigiosi editori artistici e geografici italiani e internazionali ed esposte in importanti gallerie, musei e fondazioni. In questa intervista Oliva ci racconta gli esordi della sua carriera e lo spirito con cui coglie i vari aspetti del territorio, fornendo qualche suggerimento utile per partecipare al concorso “Fotografi di classe 2018: i luoghi dell’incontro”.

 

• Come hai scoperto di essere un reporter?

Ho cominciato a lavorare al pomeriggio, durante la scuola superiore, in un famoso studio fotografico di Torino. Si faceva molto still life e molta moda, il che significa molte ragazze: mi piaceva! Un giorno un nostro cliente, il professor Assetto, pittore e scultore, ci chiese di documentare la costruzione e l’installazione in città di una sua opera. Non che io fossi molto esperto al tempo, ma gli altri erano impegnati e così si fidarono e mandarono me. Tra le riprese in fonderia, i ritratti dell’artista all’opera e l’installazione, ci vollero circa due mesi di lavoro. Così capii che amavo stare all’aperto e cogliere quello che accadeva nel momento in cui accadeva. Registrare la realtà dal mio punto di vista e con la mia personale interpretazione. Che dici, è questo essere reporter?

• Puoi narrarci un episodio o un fatto che ti ha incoraggiato a viaggiare e a riportare in Italia immagini fotografiche da tutto il mondo?

Ho sempre amato il mare e il mio sogno era diventare un fotografo operatore delle spedizioni scientifiche di Jacques Cousteau. Avevo tutte le sue cassette VHS e registravo dalla televisione qualunque trasmissione sul mare. Naturalmente vivendo a Torino non ero a contatto diretto con questa realtà, ma un giorno mi ritrovai a dover fotografare, per un catalogo, un negozio di articoli subacquei ad Albenga, in Liguria. Proprio quel giorno, per un caso fortunato, passò da lì uno dei più famosi e impegnati archeologi subacquei italiani. E mi chiese addirittura di fotografare una spedizione archeologica! Non avevo mai usato una muta né le bombole d’aria, ma in due ore di corso accelerato imparai e due giorni dopo ero già sott’acqua su un relitto a Grado, in Friuli. Così per tre anni ho fotografato relitti preistorici e romani nei mari, nei laghi e nei fiumi italiani. Le foto furono pubblicate su riviste specializzate, libri e quotidiani, ai quali cominciai a vendere anche le altre immagini che scattavo nei viaggi per l’Europa e nel mondo.

• Quali sono i tuoi soggetti preferiti quando viaggi? I paesaggi, i monumenti o le persone?

Pur fotografando paesaggi e monumenti per venderne le immagini agli editori al mio ritorno, amo sicuramente di più fotografare le persone: al lavoro, in casa o per strada, in gruppo o da sole, in primo e primissimo piano o nel contesto, rubate o in posa, sorridenti o pensierose, stupite o incuriosite. Mi piace molto stampare e mostrare loro le mie immagini. L’ho fatto spesso, subito o in un viaggio successivo. Ho un progetto che spero di realizzare e per cui sto cercando uno sponsor, tecnico o istituzionale, vedremo. Ho intenzione di organizzare per tutti i miei servizi fotografici una mostra-evento nel luogo esatto delle riprese, con i soggetti delle fotografie come invitati. Insomma, sarebbe un po’ come restituire ai proprietari le immagini che li ritraggono e che hanno per titolo il loro nome proprio. La mostra si completerebbe con la loro presenza; sarebbero testimoni viventi di un momento e di un luogo che ho ripreso.

 

• Deascuola quest’anno sostiene il concorso “Fotografi di classe: i luoghi dell’incontro”. Mi pare che molte tue immagini riprendano luoghi come i mercati e altre località dove si raccolgono molte persone. Come operi per ottenere fotografie interessanti e naturali?

È abbastanza difficile risponderti, non ho un metodo per approcciare un soggetto da fotografare, che sia una persona, un gruppo o una moltitudine. Sicuramente non lo faccio da fuori, non di nascosto o da lontano, ma immerso nel contesto fotografo e parlo o sorrido, se sono all’estero e non conosco la lingua. Negli ultimi anni, con le macchine digitali, posso mostrare le foto subito e questo è un gran vantaggio perché avvicina. Io non fotografo con luci artificiali, non prendo accordi prima, non ho con me assistenti o accompagnatori che conoscono il luogo. Sono da solo e il mio lavoro non interviene modificando la realtà del luogo. Naturalmente vengo notato e devo farmi accettare, ma le foto che faccio sono quasi del tutto autentiche e vogliono fissare volti e istanti che esistono già. Se il posto mi piace e mi ispira passo anche più giorni lì e la sera faccio delle stampe e le distribuisco. Il progetto di cui ti ho già accennato, anche se più in grande, in modo più strutturato e sotto forma di esposizione, consiste proprio nel fare questo: mostrare e restituire ai soggetti le foto che parlano di loro e li raccontano.

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