
Proseguiamo la serie di contributi di geopolitica proposti da geografi specialisti. Oggi parleremo degli ostacoli alla competitività dell’economia europea e degli investimenti per la coesione territoriale. L’articolo è a cura di Michele Pigliucci, Dottore di ricerca in Geografia economica e politica, e membro del gruppo AGEI (Associazione dei Geografi Italiani) di geopolitica.
Il primato italiano nella disparità territoriale
Nel 2024 l’Unione europea ha raggiunto la percentuale maggiore di sempre nel tasso di occupazione, pari al 75,8% di persone occupate tra quelle di età compresa tra i 20 e i 64 anni, con una crescita dello 0,5% rispetto all’anno precedente. Manca poco quindi al raggiungimento dell’obiettivo fissato dal Pilastro europeo dei diritti sociali, che prevede il 78% degli occupati entro il 2030.
Eppure questo dato è la sintesi di situazioni molto dissimili: mentre i Paesi Bassi raggiungono la quota di 83,5%, l’Italia registra il 67,1%, la performance peggiore tra i Paesi dell’Unione, di due punti inferiore a quella di Romania e Grecia.
A livello regionale le disparità risultano ancora più evidenti: secondo gli ultimi dati disponibili (riferiti al 2023), Calabria, Campania e Sicilia non raggiungono il 50%, rimanendo le uniche tre zone dell’intero spazio comunitario ad avere la maggioranza della popolazione in stato di disoccupazione, e garantendo così all’Italia la conferma del proprio primato, oltre che nella percentuale di disoccupazione, anche nella disparità regionale.

Un ostacolo alla competitività dell’economia europea
La questione delle disparità territoriali, cioè delle differenze di sviluppo socio-economico tra territori dell’Unione europea, oltre a impedire il pieno godimento dei diritti di cittadinanza, e quindi l’uguaglianza tra i cittadini, è uno dei principali ostacoli alla competitività dell’economia europea. Infatti, la presenza di territori in ritardo di sviluppo rappresenta una barriera al mercato interno, sia per via della ridotta capacità di consumo degli abitanti dei territori in ritardo, sia per il drenaggio di economie pubbliche in sussidi e sostegni.
Diversi sono gli indicatori utilizzati per misurare questo dato: tra questi, appunto, il tasso di occupazione evidenzia la competitività del sistema produttivo, fornendo la misura di quanto il territorio sia in grado di offrire opportunità di lavoro alla popolazione residente.
La perdita del capitale umano
Il basso tasso di occupazione delle Regioni del Mezzogiorno d’Italia mette in luce la scarsa competitività delle rispettive economie regionali. Gli effetti più evidenti si riscontrano nell’emigrazione interna: nel solo biennio 2022-2023 quasi 130 000 persone si sono trasferite dal Sud Italia al Centro-Nord, a cui si sommano 63 000 individui che hanno lasciato il Paese, un quarto dei quali in possesso di una laurea.
Questo flusso, costante da molti anni, rappresenta un drenaggio di capitale umano, cioè un impoverimento della fetta di popolazione più produttiva e aperta all’impresa, il cui lavoro rappresenterebbe per le Regioni di provenienza il recupero dell’investimento fatto in formazione.
Gli investimenti dell’Ue per la coesione territoriale
Il caso italiano è l’esempio più eclatante di una debolezza strutturale diffusa in tutta l’Unione europea: diversi territori registrano livelli di crescita molto dissimili, rallentando così anche la competitività delle Regioni più avanzate.
Nella consapevolezza che la riduzione delle disparità territoriali rappresenti un obiettivo strategico per l’efficienza del sistema economico, l’Unione europea dedica circa un terzo del proprio budget alla coesione territoriale, cioè alla riduzione dei divari strutturali e infrastrutturali all’origine della disparità: una spesa di 373 miliardi distribuita nei sette anni di programmazione 2021-2027, che però fatica a produrre risultati concreti e duraturi.

Luci e ombre
Non mancano i casi di successo: il quartiere napoletano di San Giovanni a Teduccio, per esempio, la cui riqualificazione – finanziata con i fondi europei di coesione – ha permesso la trasformazione di un’area urbana degradata in un polo tecnologico all’avanguardia, che ha saputo attrarre grandi aziende con spazi dedicati alla formazione avanzata e alla ricerca.
Le recenti tensioni internazionali, tuttavia, hanno portato la Commissione europea ad approvare il cosiddetto piano di riarmo europeo “Readiness 2030”, che prevede una disponibilità di spesa di 800 miliardi, sottratti in parte proprio dai fondi per la coesione territoriale, che i singoli Stati Membri possono scegliere di distrarre a vantaggio di investimenti nel settore della difesa.
Questo sostanziale taglio della dotazione finanziaria finalizzata alla coesione territoriale potrebbe verosimilmente rallentare il percorso di riduzione delle differenze tra aree dell’Ue, con potenziali conseguenze negative la cui portata è attualmente difficile da prevedere.
Michele Pigliucci

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