Alle 19,54 del 16 settembre (00,54 del 17 settembre in Italia) un violentissimo sisma ha fatto tremare gran parte del Sudamerica.
La scossa, di magnitudo 8,3, ha avuto origine nell’Oceano Pacifico a circa 7 km dal litorale, in prossimità della cittadina di Illapel (229 km a nordovest di Santiago nella regione di Coquimbo), lungo la faglia che corre a fianco della costa occidentale dell’America meridionale.
La terra ha tremato con violenza per un tempo che è parso interminabile: oltre un minuto (USGS). Una decina le vittime del sisma, ma, per il pericolo di tsunami, dopo le prime scosse la popolazione è stata fatta evacuare dalla costa.
Il Cile è dotato di un efficiente sistema di “allerta precoce” ed è così riuscito a far allontanare dal mare oltre un milione di persone, anche quelle che stavano recandosi nelle località balneari per il ponte di venerdì dovuto a una festività locale.
Il sistema d’allarme, basato sui telefoni cellulari, ha funzionato perfettamente e la popolazione ha potuto evitare le onde di tsunami, per fortuna non troppo violente, che sono arrivate poco dopo il sisma.
In seguito alle scosse il mare si è ritirato per poi riversarsi con violenza sulla terraferma. Ad una prima ondata non molto alta hanno fatto seguito altre più devastanti con due che hanno superato i quattro metri d’altezza.
L’ondata maggiore è arrivata a Coquimbo, la maggiore città costiera della zona, un’ora dopo la prima.
L’onda di tsunami si è propagata nel Pacifico raggiungendo la Nuova Zelanda dopo circa 13 ore e le Hawaii un’ora dopo (nella carta a lato l’altezza massima delle onde e il tempo di propagazione – INGV).
L’allerta per il pericolo di nuove scosse è stato dato anche in Ecuador e Perù, ma e il terremoto è stato avvertito anche a centinaia di chilometri di distanza, fin sulla costa atlantica, in Brasile, Argentina e Uruguay.
Una lunga notte
Tutta la popolazione è scesa nelle strade in attesa delle inevitabili scosse di assestamento. Dopo la scossa iniziale, che si è verificata a 25 km di profondità, la terra ha continuato a tremare a intervalli irregolari, a volte leggermente a volte ancora con estrema violenza.
Cinque le scosse più forti, di magnitudo superiore a 6. Dopo cinque minuti dalla prima, alle 19, 59 si è verificata una seconda violenta scossa sempre in mare a 20 km di profondità; alle 20,01 una terza con epicentro sulla terraferma, più vicino a Illapel (magnitudo 7,0 e 31 km di profondità); alle 22,41 una nuova scossa con epicentro a una trentina di chilometri più a nord, a 35 km di profondità. La mattina dopo un’altra forte scossa con epicentro in mare, in prossimità delle precedenti. Complessivamente nelle 12 ore successive al primo terremoto si sono verificate ben 40 scosse di magnitudo superiore a quattro.
Una regione sismica e vulcanica
Nel Pacifico, poco a ovest del litorale cileno, corre la linea di separazione tra due placche della crosta terrestre, la grande zolla sudamericana e la zolla di Nazca che comprende una piccola parte del Pacifico sudorientale. La linea che le separa è una delle zone più attive della superficie terrestre: la placca di Nazca si sposta infatti alla velocità di circa 8 cm all’anno verso est scontrandosi con la placca sudamericana sotto cui sprofonda. Il processo di subduzione tra le due zolle ha causato il sollevamento delle Ande.
Il movimento della crosta non avviene con continuità. Gli strati rocciosi collidono premendo uno contro l’altro deformandosi fino a quando non si ha un’improvvisa rottura: le rocce si spaccano e le due parti si spostano anche di alcuni metri una rispetto all’altra facendo vibrare la crosta (scosse sismiche) e nel suolo si possono formare lunghe fratture.
Dal 1900 ad oggi Cile ha subito parecchi violenti terremoti (nella carta quelli di magnitudo superiore a 5).
Il 22 maggio del 1960 vicino a Valdivia, 900 km a sud di Santiago, è stata registrata la scossa più forte (9,5 di magnitudo) e il sisma ha prodotto nel suolo una frattura lunga 800 km.
Estremamente violento anche il terremoto del febbraio del 2010 che ha raggiunto magnitudo 8,8.
Oltre ai terremoti, anche le eruzioni vulcaniche sono conseguenza della subduzione tra le zolle. Il materiale che sprofonda spinge il magma del mantello in alto, lungo canali che raggiungono la superficie: si formano così i vulcani. Un processo che dura da migliaia e migliaia di anni e che ha portato al sollevamento delle Ande.
Per questo lungo la catena andina entrambi i fenomeni sono all’ordine del giorno: attualmente è in fase eruttiva il vulcano Villarica, 900 km a sud di Santiago (La Repubblica), mentre ad aprile ha eruttato il Calbuco (post del 28/06/2015).
L’importanza della prevenzione
La violenza di questo terremoto è stata circa 1.000 volte maggiore di quella del sisma che ha distrutto l’Aquila nel 2009, mentre il terremoto cileno del 1960 era stato 30mila volte più forte.
Il limitato numero di vittime registrato in Cile si spiega grazie al sistema di prevenzione in atto nel Paese dal 1960. In seguito al disastroso terremoto di Valdivia, infatti, in Cile sono state adottate norme molto rigorose per l’edilizia (tutti gli edifici devono essere in grado di resistere a scosse di magnitudo molto elevata) e la popolazione è educata a convivere con il rischio e sa come comportarsi in caso di pericolo.
Anche l’Italia è in una zona d alto rischio sismico e vulcanico: in seguito approfondiremo la situazione della nostra penisola per scoprire che cosa si può fare per ridurre i danni.
Fare Geo
• Osserva la carta del Sudamerica e individua tutti i Paesi che hanno parte del territorio sulle Ande e sono quindi ad alto rischio sismico.
• Utilizza Maps e determina approssimativamente la distanza tra il luogo in cui è avvenuto il sisma cileno e alcune delle zone più lontane in cui la scossa è stata avvertita: Buenos Aires e il sudovest del Brasile.