Geosport #03 - Obiettivo Ottomila: imprese sportive ad alta quota

Geosport #03 - Obiettivo Ottomila: imprese sportive ad alta quota

Le imprese sportive non hanno confini: dal deserto del Sahara ai ghiacci polari gli esseri umani amano mettere alla prova la loro resistenza e il loro talento in ambienti inospitali. Questa volta ci avventuriamo sulle vertiginose cime degli Ottomila, veri monumenti della bellezza del nostro pianeta. Per affrontare la loro ascesa, oltre a preparare adeguatamente il corpo e la mente, bisogna entrare in sintonia con il paesaggio e coltivare un profondo rispetto per questi luoghi incantati e incontaminati.

La sfida della montagna

Le grandi montagne rappresentano un ambiente estremo, in cui la sopravvivenza si fa complicata per qualsiasi forma di vita, compresi ovviamente anche gli esseri umani.

Il vento, il freddo, il terreno instabile e in fortissima pendenza, la scarsità di ossigeno, per non parlare di imprevisti come le temutissime valanghe, richiedono un enorme sforzo non solo fisico, ma anche mentale, agli sportivi che intendono raggiungere la vetta.

Le scalate richiedono tempo, concentrazione, riflessione per valutare la via migliore da seguire, la stabilità (o meno) di rocce e ghiaccio, le condizioni meteorologiche… e molti altri fattori da cui dipende non solo il successo dell’impresa, ma anche la vita degli alpinisti stessi.

Giganti che superano gli 8000 metri

Sulla superficie terrestre ci sono 14 montagne che si spingono oltre gli 8000 metri di altitudine. Si trovano nell’Asia centro-meridionale, quasi tutte nei massicci montuosi dell’Himalaya e del Karakoram, lungo i confini tra Nepal, India, Pakistan e Cina.

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Le 14 cime più alte del mondo, tutte concentrate nell’Asia centro-meridionale

Queste montagne – tra le quali l’Everest è il più alto in assoluto con i suoi 8848 metri – hanno una morfologia piuttosto differente, ma sono accomunate da un elemento potremmo dire quasi “scontato”: più si sale verso l’alto, più il clima diventa estremo, con frequenti bufere di vento e neve, e la vegetazione lascia presto il posto a rocce e possenti ghiacciai.

Un fattore climatico davvero molto insidioso per gli alpinisti è rappresentato dalla forte escursione termica giornaliera: mentre di notte la temperatura scende di molto sotto lo zero, di giorno, nelle pareti più esposte ai raggi solari, il calore si fa intenso aumentando la fatica degli scalatori e il rischio di valanghe (per questo, nelle zone più esposte, si decide spesso di iniziare le scalate quando ancora fa freddo, prima dell’alba).

Una valanga sul K2.

In particolare, poi, la catena dell’Himalaya è colpita da maggio a settembre dai venti stagionali dei monsoni che in questo periodo soffiano dall’oceano carichi di umidità, portando sulle montagne ingenti precipitazioni nevose: in questo periodo, scalare è praticamente impossibile!

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Nel Sudest asiatico, le due stagioni (umida e secca) dipendono dal movimento dei venti (monsoni): quando i venti soffiano dall’oceano verso la terraferma (estate), portano grandi piogge e le foreste sono più rigogliose; quando soffiano verso l’oceano (inverno) il clima è più secco.

L’alpinismo: uno sport che richiede fisico, fiato e… tanta testa

Rispetto ai primi pionieri della disciplina, che a fine Ottocento e inizio Novecento scalavano con materiali e tecnologie “rudimentali” (vestiti in lana, guanti poco maneggevoli, piccozze, corde e poco altro), oggi gli alpinisti hanno a disposizione indumenti e tecnologie che facilitano le scalate, ma non le rendono assolutamente alla portata di tutti, tanto più sui giganti asiatici.

Dietro la scalata di un Ottomila, c’è una preparazione tecnica e un’esperienza alpinistica di anni, perché niente a queste quote può essere improvvisato. Non basta essere ottimi atleti, bisogna conoscere profondamente la montagna che si andrà a scalare e i propri compagni di cordata, e bisogna sapersi guardare dentro, in profondità.

Infatti, per quanto possa essere grande la voglia di raggiungere la vetta, si deve sempre avere la prontezza di valutare le condizioni ambientali ma anche del proprio corpo e della propria mente: se il rischio è troppo, meglio scendere, anche se mancano pochi metri all’agognata vetta.

Il cosiddetto “mal di montagna” può colpire alle alte quote anche alpinisti esperti che si sono acclimatati correttamente, con problematiche respiratorie e cerebrali che possono risultare anche fatali. Per di più, quando si arriva intorno ai 7800 m si entra nella cosiddetta “zona della morte”, così chiamata perché l’area è talmente rarefatta (la concentrazione di ossigeno è bassissima) da rendere faticosissimo anche un solo passo (per questo si vedono gli alpinisti arrancare in prossimità della vetta): a queste quote un essere umano può sopravvivere pochi giorni.

Il K2: una cima per pochi… anzi per pochissimi!

Il K2, con i suoi 8611 m, è la seconda montagna più alta del mondo. Tra i non addetti ai lavori è meno noto rispetto all’Everest, ma molti alpinisti lo ritengono la montagna più difficile al mondo da scalare, a causa delle sue pareti estremamente ripide, molti tratti complessi a livello tecnico e il tempo meteorologico davvero imprevedibile.

Per farsi un’idea, basti pensare che circa il 20% (cioè 1 su 5) di coloro che ne tentano la scalata non fa ritorno a casa. I primi alpinisti a raggiungere la vetta del K2, nel 1954, facevano parte di una spedizione italiana passata alla storia per questa grande impresa.

Nel gennaio del 2021, per la prima volta, un essere umano ha messo piede sul K2 durante la stagione invernale, quando le condizioni climatiche sono ancora più estreme: fino a quel momento, il K2 era stata l’unico degli Ottomila ancora inviolato in inverno. L’impresa è stata compiuta da una spedizione nepalese.

Il docufilm sulla spedizione nepalese che il 16 gennaio 2021 ha raggiunto la vetta del K2 in inverno.

Fare Geo

  • Dopo aver seguito il tour virtuale di Google Earth “Trekking al campo base dell’Everest”, approfondite il tema della commercializzazione estrema dell’alpinismo, che persino sugli Ottomila porta conseguenze negative sulla sicurezza delle persone e l’integrità dell’ambiente naturale. Consultando articoli e documenti (per esempio, il film “Everest” del 2015), raccogliete testimonianze del crescente degrado di questi luoghi sempre meno incontaminati.
  • Anche gli Ottomila, pur rappresentando un ambiente isolato ed estremo, sono minacciati dal cambiamento climatico. Vengono infatti sottoposti ad alcuni fenomeni come il rapido scioglimento dei ghiacciai o dall’inquinamento delle microplastiche, che hanno raggiunto persino la cima dell’Everest! Facendo delle ricerche in Rete, provate a ricostruire la “geografia delle microplastiche“, sostanze che vengono depositate e trasportate in ogni parte del mondo, dalle cavità più profonde dell’oceano ai più vasti paesaggi aperti, alle cime più alte del mondo.

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