Temi di geopolitica #7 - Che cos'è un confine?

Temi di geopolitica #7 - Che cos'è un confine?

Proseguiamo la serie di contributi di geopolitica proposti da geografi specialisti. Oggi parleremo del concetto di confine, del suo rapporto con la sovranità degli Stati e della sua natura ambigua, tra intenti divisivi e opzioni inclusive. L’articolo è a cura di Daniele Paragano, Professore associato di Geografia politica ed economica presso l’Università Telematica Niccolò Cusano di Roma e membro del gruppo AGEI (Associazione dei Geografi Italiani) di geopolitica.

La frammentazione dello spazio

Il concetto di confine, nell’ambito della geografia politica, si riferisce al processo di frammentazione (virtuale) dello spazio geografico e delle attività antropiche, e all’organizzazione del potere nello spazio.

Le attività umane tendono a essere diffuse e continue nello spazio e il millenario processo di popolamento della Terra da parte dell’essere umano ha reso, di fatto, popolata o abitabile la quasi totalità delle terre emerse. Riallacciandosi alla dimensione originaria del concetto di confine – che proviene da cum-finis e indica il luogo dove qualcosa finisce – si potrebbe dire che, a scala globale, l’attività umana è priva di confini. Tuttavia, anche guardando all’attualità, al confine viene attribuito un ruolo quasi centrale in molte delle attività e caratteristiche umane.

I confini e il potere gli Stati

Per quanto anche altre epoche storiche si siano confrontate con il concetto di confine, è con lo Stato moderno che esso diventa un elemento centrale delle politiche degli Stati stessi, i quali trovano legittimità solo nel momento in cui riescono a individuare lo spazio di loro competenza, in cui esercitare la propria sovranità.

Nella concezione contemporanea, quindi, gli Stati si riconoscono soprattutto per la loro dimensione spaziale e, su quella, esercitano il proprio potere. Questo modello ha consolidato la dimensione egemone dello Stato su altre organizzazioni spaziali, proiettando il confine geografico su una scala statuale: anche altre partizioni hanno, infatti, dei confini (si pensi, per esempio, alle regioni) ma a quello statale vengono attribuite funzioni, e ruoli, di altra natura.

Per comprendere la portata del concetto di confine, può quindi essere utile trasformarlo da elemento che racchiude l’attività antropica a limite entro il quale si esercita una qualche forma di potere; cosa che può portare a escludere il godimento di determinati diritti da parte di chi “sta fuori”.

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I confini sono concepiti come delimitazione dello spazio di potere di uno Stato.

Il confine come prodotto dell’azione umana

Anche se spesso si parla di confine naturale – indicando in questo modo le divisioni esercitate da elementi naturali come potrebbero essere mari, fiumi o montagne –, nell’organizzazione spaziale (e quindi nella geopolitica) contemporanea il confine viene sempre ridotto a una linea che, quindi, non ha una sua dimensione spaziale.

Se, per esempio, due Stati sono divisi da un fiume, anche l’ampiezza del fiume viene frazionata in modo da associare alla sovranità degli Stati in questione parte del fiume stesso. Ne deriva che, per quanto molti elementi naturali possano aver contribuito alla costituzione degli odierni spazi statali (si pensi per esempio alle isole), l’organizzazione politico-istituzionale prevede una dimensione ancora più puntuale e divisiva.

Emblematico potrebbe essere il caso del Monte Bianco che, come le Alpi, viene spesso pensato come un confine naturale dell’Italia, e che è invece oggetto di continui contenziosi tra l’Italia stessa e la Francia. Il confine, quindi, per quanto possa seguire sommariamente degli elementi naturali, può essere pensato come una costruzione sociale, sia nella sua essenza che nelle singole collocazioni.

Un’occasione di conflitto

Il confine, piuttosto che racchiudere e contenere elementi omogenei, diventa spesso occasione di scontro per estendere (o difendere) la propria sovranità. E anzi, la stessa collocazione dei confini che vediamo su una carta geografica è, nella quasi totalità dei casi, il risultato di guerre o di accordi a esse legati.

Questo fa sì che i confini, paradossalmente, non seguano alcuna dimensione geografica ma, piuttosto, abbiano essi stessi un ruolo centrale nella produzione di elementi geografici e identitari.

Si pensi al caso più iconico della frammentazione della parte settentrionale dell’Africa operata artificiosamente da parte degli Stati coloniali nell’Ottocento, che ha prodotto tra gli altri il confine sud-occidentale dell’Egitto (una sorta di angolo retto), che poco riporta a elementi geografici, sia fisici che umani. Proprio questi confini, per una sorta di paradosso, appaiono però quelli più in linea con la ratio del confine: se, infatti, è vero che ogni aspetto geografico non è un elemento includente ma il prodotto di un accordo tra le parti, in termini concettuali esso potrebbe essere facilmente strutturato come una retta.

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Le linee rette che segnano il confine tra Libia ed Egitto.

Materialità e immaterialità del confine

Nonostante questa dimensione intangibile del confine, molto spesso viene richiamata la sua forma materiale, come nel caso del muro nel Sud degli Stati Uniti, lungo una parte del confine con il Messico.

Nel corso degli ultimi decenni, nonostante viviamo in un’epoca storica caratterizzata dall’interazione a scala globale, il numero (e la militarizzazione) dei confini materiali è in costante aumento. Si pensi, a titolo esemplificativo, che per ogni chilometro del muro di Berlino (abbattuto nel 1989 e simbolo del processo di abbattimento dei confini) ne sono sorti 172 nuovi.

Questo apparente paradosso evidenzia come, soprattutto nel corso degli ultimi anni, si stia sempre più sviluppando una esaltazione del confine, contrariamente a quanto invece accadeva negli ultimi decenni del Novecento quando, soprattutto in Europa, si era avuta una fortissima spinta all’eliminazione delle barriere tra gli Stati con la rimozione delle barriere fisiche e la riduzione di quelle intangibili.

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Il muro innalzato dall’Amministrazione statunitense al confine con. il Messico.

Tra barriere e permeabilità

Il confine, sia materiale che immateriale, viene spesso posto come limitazione allo spostamento delle persone tra i vari Stati del mondo, rinforzando così la sua natura divisiva. Come anche altri animali ed esseri viventi, l’essere umano si muove alla ricerca di condizioni di vita migliori. A questo processo del tutto naturale, gli Stati moderni (e in particolar modo quelli contemporanei) pongono restrizioni e limitazioni di varia natura.

In questo, quindi, il confine diventa lo strumento per impedire il movimento, sia fisicamente che rivendicando presunti elementi di specificità. Viceversa, il periodo contemporaneo evidenzia un’elevata permeabilità dei confini ad altre attività (per esempio il commercio, la finanza ecc.) facendo quindi emergere una dimensione selettiva del confine stesso che, quindi, diventa sempre più strumento di azione politica.


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